Da poco si è conclusa la Biennale 2014 dell’Architettura a Venezia, per cui è naturale fare qualche considerazione sul valore effettivo del messaggio che si prefiggeva di trasmetterci.
Il tema scelto dal curatore è stato quello di portare all’attenzione internazionale i “Foundamentals, o Elements of Architecture”. Siamo stati invitati a riflettere sulle “cose fondamentali” che compongono l’Architettura e specificatamente su alcuni elementi figurativi e costruttivi che ne fanno parte e che possono definirla arricchendola.
La scelta di questo Tema è un ennesimo invito a tutti quelli coinvolti nel mondo dell’architettura a farsi un esame di coscienza. Forse nell’opinione del curatore la comunità degli architetti sta attraversando un lungo periodo di smarrimento in cui gli elementi fondamentali da lui proposti sono ingiustamente ignorati. Questo smarrimento, a sua volta, giustificherebbe l’allontanamento o il rigetto che a volte la comunità che ‘subisce’ l’architettura mostra nei riguardi degli architetti e delle loro avanguardie. È questo un rigetto simile a quello verso la politica che sta serpeggiando oggi in molte Nazioni.
Già dalla fondazione della Mostra nel 1980 il suo Direttore Paolo Portoghesi invitava tutti a riconsiderare ‘La presenza del Passato’ quasi ad indicare che si stava perdendo o si era persa la strada giusta. E molte delle Mostre successive hanno lamentato la perdita di Estetica ed Etica in architettura senza però mostrare segni di ravvedimento.
L’appello per un ritorno alle ‘cose fondamentali’, anche se con parole diverse, è stato un tema ricorrente di molte Biennali del passato. Negli ultimi decenni lo slogan “Back to Basics” ricorre continuamente, dalle campagne elettorali politiche a quelle religiose di ogni Paese. Segno che il malessere e lo smarrimento sociale causato dalla perdita di vista di valori ritenuti ‘fondamentali’ è un fenomeno generale della nostra era, che coinvolge inevitabilmente anche l’architettura che per sua natura è intrinsecamente connessa ai cambiamenti delle comunità. Ci si preoccupa, giustamente, di non voler perdere le cose che dovrebbero fare parte essenziale della nostra missione di ‘designers’ e costruttori.
Se così stanno le cose bisogna allora chiedersi quali sono secondo la maggior parte degli architetti i valori persi da recuperare ad ogni costo.
Difficile catalogarli perché il mestiere dell’architettura si coinvolge nell'ordinamento della vita stessa della comunità alla quale questo mestiere è o dovrebbe essere dedicato. E questo riguarda fattori che sono in continua evoluzione e che sono soggetti a dinamicità e che generano cambiamenti sociali e culturali inevitabili che non vanno ostacolati. In un certo senso l’architettura ha un bersaglio mobile e questo la rende più difficile ed allo stesso tempo più affascinante.
Se però ci si stacca dal contingente e si tenta di definire i principi che sono alla base del mestiere della progettazione architettonica e che possono quindi ritenersi fondamentali, allora forse si potrebbe tentare una definizione generale che sia al di sopra di tutte le mode architettoniche che necessariamente si sviluppano nel corso dei secoli. Si potrebbe allora dire, in forma generale, che il principio "fondamentale" che dovrebbe guidare il mestiere dell’architetto è quello di concorrere insieme all’apporto di altri contributi, a progettare e costruire un mondo migliore attraverso, appunto, l’architettura e le costruzioni.
Da questo principio scaturisce inevitabilmente un altro importante punto fondamentale, che è quello che ci dice che la professione del progettare e del costruire, dal momento che opera per le esigenze delle comunità, è necessariamente anche un impegno etico.
In effetti l'eticità del nostro lavoro di progettisti dovrebbe essere l'aspetto principale della professione architettura intorno alla quale vanno poi organizzate molte altre componenti quali l'estetica, l’organizzazione dello spazio, la sostenibilità, il recupero, il comfort, le infrastrutture, le innovazioni dei materiali, gli spazi comuni e quelli privati, il territorio e la sua protezione etc etc.
Forse è la constatazione di aver dimenticato o sottovalutato la 'missione' etica a favore della auto celebrazione dell'architetto stesso che genera questa inquietudine in quasi tutte le Biennali veneziane che, così spesso, hanno invocato un ritorno ai valori fondamentali della professione senza però mai fare ammenda per gli errori commessi.
C’è smarrimento e ambiguità anche in questa ultima Biennale. Ciò è palese anche dalla eccessiva percentuale di spazio e ‘focus’ dedicata ai 'foundamentals', individuati nei temi delle finestre, corridoi, caminetti, maniglie delle porte, solai etc. Cose queste che possono certamente rendere migliore il mondo del costruire ma che nonostante la loro importanza sono componenti e rimangono tali, e che da sole non fanno certo architettura. Lo spropositato spazio dedicato a questi elementi sarebbe più appropriato per una mostra del tipo Saie di Bologna, dove per altro sarebbe possibile vedere anche maggiori dettagli.
Per fare un paragone, è come se in un festival di musica che volesse ritrovare le sue radici o ‘fondamenta’, la gran parte del tempo, dello spazio e dell'attenzione fosse dedicato alle scale musicali, agli arpeggi ed al solfeggio. Cose queste che pur essendo importanti non fanno però 'musica'.
La stessa mancanza di equilibrio e la stessa inquietudine è stata avvertita nella mostra in Arsenale, dove lo spazio dedicato all'architettura è praticamente limitato ad una sala con foto retro illuminate di interventi costruttivi mentre la maggior parte dello spazio viene dato alle varie arti figurative quali il cinema. Ovviamente anche queste devono far parte del bagaglio culturale dell'homo sapiens che si prefigge il miglioramento del mondo costruito. Ma pur non volendo innalzare barriere culturali, andrebbe comunque menzionato ai curatori che Venezia ospita anche una vivace Mostra del Cinema. Questa potrebbe anche essa, a sua volta, aver bisogno di un ritorno ai suoi 'foundamentals' ed utilizzata, ma in modo più specifico, in relazione all’architettura.
La realtà comunque è che l’architettura è profondamente in crisi e sta attraversando un periodo di smarrimento. È solo di pochi giorni fa il bruciante giudizio di Frank Gehry che l’architettura contemporanea sia per il 98% da rigettare come immondizia. Commento che richiama alla memoria la fantozziana asserzione liberatoria sulla ‘Corazzata Potiomkin’ e se questo film fosse o meno un capolavoro.
Certamente non è questo il messaggio delle Biennali veneziane, anche se spesso sono criticabili. Ma forse parte del problema risiede nella scelta dei 'curatori'. Molti di essi, pur facendo parte di avanguardie, sono diventati troppo involuti nei loro stessi dogmi esasperati da dimenticare i principi fondamentali del loro nobile mestiere.
È lecito allora chiedersi a gran voce quale debba essere il futuro di iniziative quali la Biennale se non vogliamo che muoia o che continui a lanciare messaggi sterili.
Piuttosto che eliminarla, molto probabilmente la Biennale dovrebbe essere rifondata e rilanciata non ogni due ma ogni quattro-cinque anni. Bisognerebbe poi smettere di nominare curatori ‘archistar’ la cui missione principale è sempre quella dell'auto celebrazione. Sarebbe meglio per l’architettura e per la comunità se in futuro i curatori non fossero più individui ma studi/atelier di 'gruppi' di giovani progettisti da varie parti del mondo, che riportino nuovo slancio e nuova fecondità di idee.
Solo così si potrà fermare questa lunga lista di sterili proclami che continuano ad invitarci a ritornare ai valori fondamentali di questa nobile missione dimenticando però che questi dovrebbero essere principalmente il progettare e costruire un mondo migliore per la Comunità.
Gabriele Del Mese guarda la foto di Rem Koolhaas con il piccolo Superman per mano (la foto pubblicata in questo articolo è stata scattata all'apertura della mostra Art Or Sound, 4 giugno 2014 a Venezia alla Fondazione Prada. Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for Prada) e si chiede "A 70 anni può veramente ispirare le nuove generazioni?".
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