Jacques Sebbag, Laurent Boudrillet, Anne Pezzoni, Thomas Dryjski, Bernard Guillien e Jakub Wroniszeski . Sei partner e una trentina di collaboratori. Due sedi: la principale a Parigi l’altra a Varsavia. Una quindicina di opere realizzate, la maggior parte pubbliche nate dai concorsi. È questa la carta di identità dello studio Archi5 che ha compiuto undici anni e che nei premi di architettura, francesi e non, negli ultimi mesi si sta posizionando spesso nella top list.
Lo studio è stato fondato nel 2003 con cinque soci che avevano avuto una comune esperienza in un grande studio parigino (nel 2012 si è aggiunta la sesta socia Anne Pezzoni) e che condividevano il metodo di lavoro basato sull’attenzione al luogo, sull’individuazione di un programma e sulla sfida sociale e culturale da studiare, analizzare e mettere in campo. I progettisti hanno fatto squadra, “non avevamo referenze sul costruito – racconta Dryski– quando abbiamo iniziato avevamo solo una buona conoscenza su come gestire le operazioni e le gare pubbliche. E siamo partiti da lì: per cinque anni abbiamo fatto concorsi su tutti i temi: scuole, stadi, biblioteche, spazi per la cultura. Tutto tranne gli ospedali, per cui servono altri canali per arrivare al risultato. Pochi mesi fa abbiamo ripulito il nostro sito web dei tanti progetti studiati per i concorsi di architettura e abbiamo sostituito i rendering con le foto di tante opere realizzate”. In occasione della vernice dell'ultima Mostra Internazionale di Architettura, Archi5 ha presentato un progetto di ricerca raccontando il lavoro nei propri cantieri fotografato da Fred Chapotat.
Archi5 ha iniziato la propria carriera partendo dai concorsi e acquisendo esperienza nella fase di progettazione, nell’attesa di riuscire ad arrivare in cantiere e lavorare sugli edifici. Archi5 si è formato grazie alle gare pubbliche e solo recentemente ha iniziato a fare architettura per i privati. “Stiamo sperimentando una soluzione abitativa in legno a dieci piani, stiamo lavorando con il cliente – spiegano gli architetti – per individuare le migliori tecnologie per puntare alla certificazione, che è operazione di marketing per il privato e sfida per noi”.
Archi5 crede nei concorsi, e a fronte di tanto investimento, fa un bilancio delle luci e ombre del noto sistema francese. “Quasi tutte le competizioni sono ristrette: vengono invitati 3-5 studi. Il primo scoglio sta nell’essere ammessi alla short list: una volta in gara – dicono gli architetti - bisogna tenere presente che si compete con studi che hanno ottimi portfoli sulla tipologia oggetto della gara”. Nei concorsi si chiede materiale di diverso grado di approfondimento “ma alla fine – dicono - il progetto viene ripagato con un premio commisurato alle richieste”.
I soci di Archi5 hanno capitalizzato le relazioni umane con i clienti privati conosciuti nel precedente ufficio ma per loro il network più virtuoso non è tanto quello con i developer (avendo progettato e costruito ancora pochi edifici per uffici) ma la partnership con i costruttori. “Abbiamo un ottimo rapporto con le tre più importanti imprese in Francia. Il costruttore – spiega l’architetto Thomas Dryjski – è un veicolo fantastico quanto lo sono gli studi di ingegneria”. Archi5 si relaziona con diversi uffici a seconda del tipo di lavoro: “grazie all’importante network delle società di ingegneria gli architetti usufruiscono di un canale privilegiato in termini di opportunità e contatti: gli ingegneri - spiegano - hanno anche più risorse economiche e facilitano i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni”.
Lo studio riconosce il valore aggiunto dell’ingegneria ma non nasconde che poter iniziare a lavorare in autonomia “libera gli architetti da una serie di vincoli e impostazioni strutturali e tecnologiche. In ogni caso – aggiungono i professionisti – quando si tratta di dover affrontare temi dove l’ingegneria necessariamente è protagonista, come nel caso degli stadi, conviene fin da subito seguire un approccio olistico”.
La Francia terra di opportunità? “Non proprio – dice l’architetto Pezzoni – per lavorare devi avere un network. Ci sono tanti bravi architetti, magari la Francia sta meglio dell’Italia – spiegano – ma comunque non è facile, servono i link giusti, bisogna avere la capacità di adattarsi e integrare l’anima dell’imprenditore con quella del progettista”.
La ricetta Archi5? “I soci sono complementari, ci completiamo mettendo in campo capacità su discipline specifiche. Ogni partner – spiegano gli architetti – si assume la responsabilità di un progetto e ne diventa il punto di riferimento fino alla fine. Se un progetto riguarda una particolare disciplina per cui un partner ha particolari competenze, lo si affida al collega più adatto”. Si aggiunga che uno dei partner è il direttore finanziario.
Lo studio lavora molto sul programma funzionale anche inserendo nuovi usi rispetto alla richiesta della committenza. “Dalla gara al cantiere – aggiungono - ci impegniamo a preservare la prima immagine che abbiamo dato, ed è una sfida considerando tutti gli elementi da includere nella definizione del progetto”.
Oltre confine Archi5 sta investendo in Sud Africa, in Argentina e Brasile. In Italia (ancora) non lavora ma qualche anno fa ha partecipato al concorso per il centro congressi di Riva del Garda. “Partecipare alle gare in altri paesi è utilissimo per confrontarsi con culture diverse, per conoscere realtà che hanno altre regole. Da un progetto – spiegano – possono nascere connessioni e opportunità per altre iniziative”.
In un solo mese Archi5 ha vinto cinque premi. Non a caso. “Ci rendiamo conto che nonostante le tante opere realizzate non riusciamo a riscontrare il successo che potremmo avere, e così abbiamo deciso di investire sui premi di architettura”. Con buoni risultati. “Stiamo lavorando sulle candidature – spiegano – bisogna essere parte del network degli architetti, sappiamo che nuotare nello stesso fiume con tanti colleghi non è semplice e i premi servono per acquisire credibilità e per avere un riconoscimento pubblico".
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