Architetti Artigiani Anonimi è un progetto di Annarita Aversa, architetto di 33 anni di Amalfi con uno studio-galleria a Roma in via Margutta. Una giovane professionista laureata a Roma, impegnata nella realizzazione di architetture a tutte le scale, con un innato interesse nel coinvolgere il territorio: ha promosso in prima persona un workshop in costiera amalfitana, Due Punti Architettura, ed è attenta nel coinvolgere artisti e artigiani locali. Nel suo curriculum non manca l’esperienza internazionale: è stata in Spagna negli anni dell’università con l’Erasmus, e poi in Olanda per arricchire il proprio bagaglio di relazioni e knowhow. Opportunità di lavoro a Roma e poi a Milano dove ha collaborato anche con Alessandro Mendini, per poi mettersi in proprio con clienti importanti del mondo del collezionismo d’arte, e grandi opportunità all’orizzonte come la rigenerazione dell’ex pastificio Amato di Salerno. Per lei il cosiddetto ‘design’ è sempre legato ad un luogo, ad una storia, ad una tradizione artigianale.
Qual è la mission di Architetti Artigiani Anonimi?
Osservare e tentare di recuperare le più spontanee espressioni dell’abitare, con l’obiettivo di mettere in luce la verità nel rapporto tra l’uomo e le sue cose, sempre nella costante ricerca e sperimentazione di materiali e nel recupero affannoso di tecniche artigianali desuete.
Tavoli, librerie, e non solo. Come nascono i tuoi prodotti?
In ogni occasione ho approfondito temi sempre nuovi trovando soluzioni customizzate per librerie, supporti, sedute. Per ogni progetto di interior, da Stromboli all’isola greca di Kastellorizo, sono riuscita a creare una collezione di design, mettendola in produzione.
Gli artigiani, tuoi partner importanti, come li scegli?
Come si fa in un progetto di architettura anche per l’interior design cerco di disegnare tutto, di progettare quello che non c’è dialogando continuamente con il committente e il territorio. In questi anni mi sono interfacciata con una cinquantina di artigiani, sono costantemente alla ricerca, anche nel mio tempo libero, di nuove manifatture, di chi può sviluppare dei prototipi e poi metterli in produzione.
Per una casa di una nota collezionista d'arte ad esempio ho disegnato la prima “Pentagramma”: una scaffalatura pensata per esporre i suoi oggetti personali, con lo scopo di creare un’opera d’arte attraverso una composizione armonica. È stata la prima esperienza di design custom, poi l’ho messa in produzione, l’abbiamo portata al fuorisalone di Milano, ora è anche nella galleria di via Margutta ed è nel mio catalogo.
Finora sono stata io a fare un’attività di scouting tra gli artigiani; a partire dall’ultimo Salone invece ho iniziato a ricevere contatti e proposte da parte di aziende.
Che spazio c’è per la progettazione architettonica?
Proprio nei giorni del Salone del Mobile 2017, mentre esponevo alcuni miei prodotti di design, la mia famiglia ha acquisito tramite un’asta il 50% dell'ex Pastificio Amato di Salerno (che negli anni scorsi ha visto impegnato anche Jean Nouvel per un progetto di riconversione, ndr), una sfida di rigenerazione urbana che potrò supportare dalla parte del committente.
Il tuo laboratorio ha meno di cinque anni, e da un anno e mezzo hai aperto a Roma uno studio-galleria, come mai questa scelta?
Da designer sono diventata produttore e la galleria mi permette di esporre il mio catalogo. Voglio comunicare quello che faccio in modo non filtrato: quando si lavora con l’interior design, capita spesso che il dialogo con il committente sia così stretto da limitare l’approccio diretto con il pubblico.
Nelle ultime settimane AAA è uscito su Living e su AD Germania in uno speciale dedicato alle donne italiane. Che significato ha per te la comunicazione?
Living ha dedicato una pagina ad alcuni tavoli della mia collezione Partenope. AD ha pubblicato da poco una mia casa costruita ad Amalfi raccontando la scelta dei tessuti, i tributi ad alcuni artisti locali, la particolarità di alcuni prodotti come il divano realizzato con ringhiere di recupero che entrerà presto nella mia collezione.
In generale per me una pubblicazione non è un obiettivo, ma la conseguenza del lavoro fatto, un’opportunità per trasmettere dei messaggi, per arrivare alle persone.
Guardando al futuro?
Roma non è l’obiettivo. Sto fuori, per tornare ad Amalfi. Punto a creare un brand forte per poi fare base nella costiera amalfitana. Fare l’architetto per me non significa esprimermi nell’estro, ma curare le piccole realtà, dando un contributo attivo perché non scompaiano le botteghe che sono l’anima del nostro Paese.
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