Creatività come strumento per superare la crisi, chiave di sopravvivenza per l’umanità, ma soprattutto lente per indagare la molteplicità e la complessità del mondo. Sorge sovrano l’impegno della comunità per rispondere alla domanda leitmotiv di questo periodico pandemico: come vivremo? Il tema lanciato dalla Biennale di Architettura, in scena dal 22 maggio al 21 novembre, è oggi di straordinaria rilevanza, ma è di straordinaria importanza l’esistenza stessa della Biennale, che in queste ore ha avuto la conferma da parte del ministro della Cultura Dario Franceschini della destinazione di ingenti fondi per il progetto di sviluppo e potenziamento delle attività de La Biennale di Venezia, 170 milioni nell’ambito del Piano Strategico dei grandi attrattori culturali contenuto all'interno del PNRR. «Fondi strategicamente fondamentali – ha commentato il sindaco Luigi Brugnaro - per la costruzione di un polo permanente di eccellenza nazionale e internazionale. Un bellissimo progetto che contribuirà al rilancio dell'intero settore culturale e vedrà il pieno coinvolgimento della Città».
«Nell’evento della Biennale sono contenute tante sfide. In primis la sfida di fare attività e mantenere appuntamenti di grande livello in sicurezza, dimostrando che è possibile svolgere eventi culturali rispettando le misure di prevenzione e non mettendo nessuno a rischio», interviene Franceschini, durante la presentazione del Padiglione Italia dal titolo “Comunità Resilienti”, per la Mostra internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia. Con lui il presidente, Roberto Cicutto; il direttore generale Creatività Contemporanea del Mic e commissario del Padiglione Italia, Onofrio Cutaia e il curatore del Padiglione Italia, l’architetto Alessandro Melis.
Il Padiglione darà rilievo all’aspetto esperienziale e immersivo, secondo quanto proposto dal curatore della Hashim Sarkis ( ). Privilegiando forme espressive legate al fumetto, al gaming, in toni e modalità di ispirazione cyber punk. Linguaggi eterogenei. «Perché – come sottolinea per tutta la presentazione Melis – non esistono più discipline, ma sapere». Sarà lo stesso Padiglione una comunità resiliente, costituita da 14 “sotto comunità”, intese come laboratori operativi, centri di ricerca o casi studio. Secondo due fondamentali direttrici: una riflessione sullo stato dell’arte in tema di resilienza urbana in Italia e nel mondo attraverso l’esposizione delle opere di una selezione di architetti italiani. E un focus su metodologie, innovazione, ricerca, con sperimentazioni interdisciplinari a cavallo tra architettura, botanica, agronomia, biologia, arte e medicina.
«Stephen Jay Gould ed Elizabeth Vrba hanno rivoluzionato la tassonomia della biologia introducendo il termine “exaptation”, ovvero il meccanismo non deterministico della selezione naturale – spiega Melis - il Padiglione Italia promuoverà l’exaptation architettonica come manifestazione di diversità, variabilità e ridondanza, sfidando l’omogeneità estetica deterministica a favore della diversità delle strutture creative». Come il genoma e il cervello umani, il Padiglione sarà una giungla abitata da strane creature dove poter ascoltare un rumore di fondo che è già assordante facendo ricorso a nuovi paradigmi della conoscenza.
Non mancherà un omaggio alla sensibilità ambientale, una struttura quindi a impatto CO2 quasi zero, grazie al riutilizzo dei materiali del Padiglione Italia 2019 e una rilocalizzazione in forma permanente di tutto quello che verrà prodotto. «Impariamo come la natura sia amorale: non dobbiamo salvarla perché è buona, ma perché dalla natura deriva la nostra sopravvivenza», spiega Melis.
Con un investimento pubblico di 600mila euro, si può dire a gran voce che è il momento dei creativi, dei visionari, minimizzando gli sprechi. È il momento dell’arte, in generale, come mondo delle possibilità.
«L’architettura è un sismografo (riprendendo anche un’altra idea già passata in Biennale): indaga l’arte nel modo più completo, esplora le marginalizzazioni, dove si trova la capacità di resilienza umana, senza mai rinunciare alla complessità», interviene ancora Melis. E la città? La città è la causa, ma anche il luogo delle fragilità. Quale futuro? «Non sono “architetto oracolo”, ma noto alcune cose. La soluzione non sarebbe stata quella di aver progettato le città prevedendo pandemie come il Covid, anzi avremmo fatto gli stessi errori, probabilmente. Sarebbe stato importante progettare città diverse, variabili e ridondanti in modo tale da consentire l’adattamento a scenari non prevedibili. Ci siamo accorti, per esempio, che ci sono forme di resilienza molto più forti al Covid nella Medina di Algeri, piuttosto che in un quartiere moderno di qualche capitale europea. Sappiamo che la compattezza, i servizi di prossimità, insomma le storiche città italiane di stampo medievale, molto prima della teorizzazione della “città dei 15 minuti”, sono la sintesi vincente. Possiamo dire con certezza, che dal punto di vista delle comunità, il Covid ha confermato alcune certezze che già avevamo. E cioè che la flessibilità degli spazi, la eterogeneità degli usi, la vicinanza dei luoghi di necessità, è la visione strategica migliore per fronteggiare la crisi. Questo lo racconteremo», conclude Melis.
Il Padiglione Italia è una mostra - laboratorio, si passa dagli elementi formativi all’implementazione, dalla ricerca all’osservazione. Sarà un nuovo sguardo al mondo che verrà.
In copertina: Padiglione Italia. Sezione espositiva “Laboratorio Peccioli”
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