A pochi mesi dalla sostenuta battaglia "Sblocca cantieri", l'inversione di marcia: l'appello corale dal mondo delle costruzioni per chiudere tutti i cantieri, fatto salvo per quelli strettamente necessari. L'Ance chiede misure drastiche. «Se qualcuno pensa che si possa continuare a lavorare nei cantieri senza dispositivi di protezione individuale per i nostri dipendenti, forse non ha ben chiara la gravità della situazione: non è una cosa possibile». A ripeterlo è il Presidente dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), Gabriele Buia. Il riferimento è a tutto il territorio nazionale, ma nello specifico guarda a quanto sta accadendo in Lombardia, la Regione dove il Covid-19 sta colpendo più duramente tanto la società, quanto il sistema produttivo. E a conferma delle sue parole arrivano anche i numeri raccolti da un sondaggio effettuato sul territorio da Assimpredil Ance e finalizzato a stabilire il numero di aziende del comparto ancora operative.
I numeri di Assimpredil. Nelle provincie di Milano, Lodi, Monza e Brianza il 66% delle imprese edili ha chiuso, il 12% vive in una situazione di stallo in attesa di verificare la possibilità di continuare ad operare. In definitiva solo il 22% delle aziende è rimasta aperta, ma lamenta grandi difficoltà e non esclude la chiusura se le cose non dovessero migliorare. Analizzando i singoli territori, risulta che il più colpito è quello di Lodi, dove il 95% delle imprese ha interrotto le attività con solo l’1% che risulta ancora aperta. Va meglio nell’area metropolitana di Milano, con il 30% delle aziende che resistono nonostante la difficile situazione, mentre nel capoluogo va avanti il 17% delle ditte.
Una crisi che arriva in un momento di leggera ripresa di un settore, quello delle costruzioni, che ancora scontava gli effetti della crisi economica del 2008. «Nei cantieri non si può rispettare sempre il metro di distanza e quindi – racconta Buia – purtroppo dobbiamo obbligatoriamente chiudere. Ma per ridurre l’impatto di questa scelta su un comparto già in sofferenza, il Governo deve concederci lo stato di causa di forza maggiore. E invece, da come si vanno delineando le cose, sarà la singola Amministrazione o stazione appaltante a decidere». Una situazione diversa da quella di altri Paesi Europei. «In Francia – prosegue Buia – sono già intervenuti con direttive governative per bloccare le commesse pubbliche e, di conseguenza, i cantieri. Un esempio? I lavori per la Torino-Lione sul lato transalpino sono fermi». Ed è notizia di queste ore lo stop dei due cantieri italiani del tunnel del Brennero.
Due gli elementi che rendono ancora più difficile la situazione dell’edilizia. Da un lato, l’impossibilità di ricorrere a forme alternative di impiego come lo smartworking, che nell’attività di cantiere è praticamente irrealizzabile. Dall’altra, ha spiegato Marco Dettori, Presidente di Assimpredil Ance «la pretesa di alcuni committenti, pubblici e privati, che si proseguano i lavori per non avere ritardi di consegna, in quanto sostengono che la normativa non obbliga espressamente a fermarsi. Per questo serve un provvedimento immediato che faccia chiarezza e sospenda i cantieri, fatti salvi gli interventi urgenti di pubblica utilità».
Passano i giorni e sono le stesse aziende a prendere l'iniziativa, dalla Colombo Costruzioni al Consorzio Integra, intanto nella tarda mattinata del 21 marzo sono in programma i lavori di movimentazione di una campata di 100 metri del nuovo viadotto di Genova. Un maxi-cantiere italiano, l'infrastruttura-simbolo che ha portato il premier Conte a parlare di "modello Genova" per affrontare l'emergenza Covid-19. Il commissario Marco Bucci ha ribadito che i lavori proseguiranno senza interruzione, "potremo avere qualche rallentamento ma - ha dichiarato il sindaco-commissario - non molleremo mai". Questo, nonostante alcune aziende abbiano già deciso di sospendere temporaneamente la propria attività, come ha annunciato la Cossi Costruzioni.
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