Ventuno i relatori internazionali, 17 i talk e oltre 11mila le visualizzazioni: questi i numeri della seconda edizione di Architecture & the Media 2020, l’iniziativa di Fundaciò Mies van der Rohe e Laboh, con il supporto di Creative Europe, che quest’anno si è tenuta interamente in formato digitale sui canali della Fondazione. Quattro giorni di dibattiti, tavole rotonde e confronti che hanno avuto come tema la comunicazione architettonica nei mezzi radio-televisivi e negli altri media audiovisivi, con un focus specifico sul ruolo delle immagini.
Un evento che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Oliver Wainwright, critico di architettura per il prestigioso quotidiano britannico The Guardian e del fotografo olandese Iwan Baan, con un intervento sul ruolo delle fotografie nel racconto di un lavoro architettonico. E se la prima edizione del 2018 aveva cercato di portare al centro del dibattito l’architettura come tema attraente per i giornalisti, quella del 2020 è stata un’edizione di consolidamento e di approfondimento delle logiche editoriali, come aveva sottolineato in occasione dell’apertura del festival la curatrice Miriam Giordano.
Non solo quindi una mera comunicazione dell’architettura, ma attenzione allo spazio e al contributo che questa, a dispetto di tutte le tecnicità del settore, possa davvero apportare alla discussione sulla qualità della vita nelle nostre città. E sia dall’intervento di Oliver Wainwright che dalla tavola rotonda su radio e podcast, alla quale hanno partecipato i giornalisti Josep Lluís Blázquez, Rūta Leitanaitė, Iñigo Picabea e Andrew Tuck, è emerso quanto sia fondamentale il ruolo sociale dell’architettura, nella sua capacità di far emergere problemi che riguardano da vicino la vita delle persone. Come ha sottolineato Wainwright, «gli articoli più letti sono quelli che riguardano questioni di interesse popolare, che spiegano le forze invisibili che danno forma alle città» e «di tutti i medium artistici – ha aggiunto –, l’architettura è quella che più influenza e riguarda le persone. L’architettura è qualcosa che ti succede, ed è per questo che la sua critica meriterebbe di essere presente in ogni notizia, non solo nelle pagine di cultura».
Parole che trovano eco anche nell’intervento di Rūta Leitanaitė, giornalista della lituana Knowledge Radio, e nella sua affermazione che l’architettura non è solo immagini di edifici o progetti, ma «riguarda le forze che la plasmano» e che quindi può essere descritta, discussa e presentata al pubblico anche come una «sensazione», «un’esperienza». Dai dibattiti è emerso un ruolo se si vuole anche politico connaturato all’architettura, perché è logico che determinati interventi urbanistici abbiano ripercussioni più o meno forti sull’esistenza di chi le abita. È per questo che, per riprendere Oliver Wainwright, oggi più che mai c’è bisogno dei critici di architettura, perché «bisogna spiegare alle persone come queste macchine operano. Dobbiamo diventare dei critici-attivisti».
Largo spazio ad architetti, designer e pianificatori, ma soltanto se la storia o l’opera architettonica narrata potrà avere risvolti sociali o di attualità, altrimenti l’architettura rimarrà confinata in un ambito per pochi intenditori, anche sulle pagine dei giornali.
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