Alla 17. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia c’è posto anche per il cohousing e per l’esplorazione della vita comunitaria, grazie al consueto approccio pragmatico e allo stesso tempo improntato alla sostenibilità che contraddistingue il design e l’architettura dei Paesi Nordici. E il titolo scelto dalle nazioni scandinave (Svezia, Norvegia e Finlandia) per il loro padiglione alla Biennale di quest’anno, “What We Share. A model for cohousing” (letteralmente, “ciò che condividiamo. Un modello per il cohousing”) sembra rispondere direttamente all’appello del curatore Hashim Sarkis e al tema della kermesse veneziana: “How will we live together?” (come vivremo insieme?).
Piuttosto che concentrarsi sul tema delle conseguenze della pandemia sul tessuto urbano e sull’inclusione, come ha fatto l’Arabia Saudita, o sul potenziale sociale degli spazi digitali come nel caso della Federazione Russa, i Paesi del nord Europa hanno scelto di portare in scena il lavoro dello studio norvegese Helen & Hard – affiancato nella curatela da un team del Museo nazionale di arte, architettura e design di Oslo –, con il loro progetto di cohousing Vindmøllebakken, realizzato nel 2019 a Stavanger, nella parte sud-occidentale del Paese.
E per farlo hanno direttamente coinvolto i residenti della comunità nel percorso di riflessione ideato per la Biennale su cosa significhi oggi creare delle comunità basate sulla partecipazione e la condivisione. La domanda da cui lo studio è partito è stata molto semplice: a quali aspetti della tua privacy sei disposto a rinunciare, lasciando la tua casa per andare a condividerli con una comunità, e quindi con un potenziale audience? Se a Vindmøllebakken il centro dell’abitare sono gli spazi comuni, invece degli appartamenti privati, nella mostra i visitatori avranno la possibilità di esplorare questo modello di vita attraverso una sezione di un prototipo di residenza condivisa, per capire come l’architettura possa essere sostenibile, funzionale nel contrasto alla solitudine, migliorando la qualità della vita di coloro che usufruiscono degli spazi progettati.
E il passo da residente a visitatore è breve, come spiegano Siv Helene Stangeland e Reinhard Kropf, partner e direttori creativi dello studio, nato proprio a Stavanger nel 1996. “Essere architetti e allo stesso tempo abitare in una comunità in cohousing ci ha fatto comprendere il potenziale di questo modello abitativo nell’affrontare alcune delle sfide climatiche e sociali che ci troviamo ad affrontare oggi” scrivono in una nota. “A Venezia vogliamo esplorare questo potenziale e dimostrare quanto l’interazione tra abitanti e agenti coinvolti possa creare un’architettura plasmabile e adattabile”.
La relazione dinamica tra l’architettura e i suoi fruitori, nonché il dialogo continuo tra progettisti e utenti e la cura dell’altro come base per la vita urbana, sono le cifre dell’approccio di Helen & Hard, e nel caso specifico di Vindmøllebakken questo legame è ancora più personale, visto che l’edificio sorge sul sito che ospitava la vecchia sede dello studio e loro stessi sono residenti. Noti per l’innovativo uso del legno, Stangeland e Kropf si sono specializzati nel riuso di edifici e materiali esistenti, in linea con la loro filosofia di ridurre l’impatto ambientale, i costi di costruzione, il consumo di energia e la produzione di scarti.
E se la pandemia ci ha spinto a interrogarci sul valore intrinseco delle case che abitiamo, una risposta ottimistica potrebbe arrivare dal Nord.
Immagine di copertina: Illustrazione di Vindmøllebakken ©Helen & Hard
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tag: cultura; housing