Collaborazione, vivere-insieme, essere in relazione per contrastare i mutamenti del nostro tempo: presentata in diretta streaming da Venezia la 17. Biennale di Architettura 2020. Tema: How will we live together?
Se nel 2018 fu una tempesta di neve e vento a far chiudere l’aeroporto di Dublino e ad impedire la partecipazione delle due curatrici alla conferenza stampa della 16. Biennale di Architettura di Venezia, nel 2020 è stata invece l’emergenza sanitaria del coronavirus a far programmare una conferenza a porte chiuse nella città lagunare, con un collegamento video con il MIT di Boston. Dagli uffici dell’università americana, Hashim Sarkis, architetto libanese curatore della 17ma edizione, ha presentato il suo team internazionale (o per lo meno di quella parte che vive a Boston) e ha presentato i temi principali della prossima edizione della kermesse veneziana.
Una biennale che partirà dal tema del vivere insieme e dove si affronteranno, dal punto di vista dell’architettura, i temi del cambiamento climatico, delle disuguaglianze, dei mutamenti delle norme sociali in un’era di crescente polarizzazione politica. Un “senso di urgenza”, come l’ha definito nel suo intervento Paolo Baratta, presidente uscente della Biennale, davanti al quale servono «nuovi progetti e aggiustamenti dell’essere umano in relazione a qualcosa». Ed è il titolo stesso, posto sotto forma di domanda, che vuole cogliere «con uno sguardo ampio i problemi della società contemporanea. L’architettura diviene qui il riferimento di un vasto impegno interdisciplinare e di quello culturale e politico», prosegue Baratta. E davanti alla “paura” che alcune visione ristrette del mondo vorrebbero imporre, «serve una più vasta collaborazione, non una visione ristretta». Per questo «la mostra di Hashim vuole essere una sorta di chiamata alle armi dell’architettura».
Sarkis ha invece spiegato che «il tema è una domanda aperta, non retorica, che celebrerà la pluralità di valori nell’architettura e alla quale siamo chiamati a rispondere su tre livelli: quello del corpo, della città e del pianeta».
Sono 114 gli architetti partecipanti provenienti da 46 paesi del mondo, con una maggiore presenza di architetti donne e architetti dall’Africa, America Latina e Asia.
Tra gli italiani Studio Ossidiana, Studio Paola Viganò e Matilde Cassani, mentre tra gli italiani all’estero figurano ecoLogicStudio, Miralles Tagliabue EMBT, Dogma. Tra i big internazionali Farshid Moussavi Architecture (Londra), OMA (Rotterdam), Skidmore, Owing & Merrill (New York), UNStudio (Amsterdam), Heatherwick Studio (Londra), Michael Maltzan Architecture (Los Angeles). Tra gli altri EFFEKT (Copenaghen), Elemental (Santiago del Cile) e MDP (Parigi).
Alle Corderie dell’Arsenale la mostra prenderà in considerazione i temi delle nuove corporeità (umane e non), delle nuove realtà familiari e demografiche, e delle comunità emergenti. Ai Giardini ci si occuperà invece di confini e pianeta, con il primo con un focus su come aiutare a superare il confine tra urbano e rurale e il secondo che cercherà di rispondere le domande che sorgono a valle dell’urgenza del cambiamento climatico.
Presidente della giuria internazionale sarà Kazuyo Sejima, che aveva già curato la Biennale Architettura del 2010. Pre-apertura il 20 e il 21 maggio, con la cerimonia di inaugurazione e di premiazione che si terrà sabato 23. La mostra sarà aperta fino al 29 novembre 2020.
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