Secondo la classificazione sismica dei comuni italiani della Protezione Civile (marzo 2015) il 44% del territorio nazionale (133mila kmq) è in area ad elevato rischio (zona sismica 1 o zona sismica 2) pari al 36% dei comuni italiani (pari a 2.097). In queste aree risiedono 22,2 milioni di persone, 8,9 milioni di famiglie, si trovano oltre 6,1 milioni di edifici di cui quasi 1 milione ad uso produttivo con 4,7 milioni di addetti distribuiti in 1,5 milioni di unità locali. Considerando le dinamiche insediative rispetto al 2001, a parità di comuni esposti a rischio elevato, la popolazione residente nelle aree è aumentata del 4% e il numero di edifici realizzato in questi comuni è aumentato del 7,6%. Questo è il quadro delineato dal Cresme sul rischio sismico in Italia, che verrà approfondito nel XXIV rapporto congiunturale che sarà presentato a Bologna, il 18 ottobre, nel contesto di Saie 2016.
“Lo stato di fragilità che caratterizza il contesto territoriale italiano rispetto a sismi, frane e alluvioni è un dato di fatto. Il sisma che ha colpito il centro Italia a fine agosto – spiega Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme - mostra come, pur conoscendo la gravità del problema dell’esposizione al rischio naturale, non siamo pronti a convivere con le caratteristiche di fragilità del nostro Paese, senza far pagare alla popolazione i costi del rischio”.
Il Cresme anticiperà al Saie i primi risultati di un approfondimento puntuale fatto sulla dimensione del rischio naturale a livello nazionale, a seguito della pubblicazione nel 2015-2016 dell’aggiornamento delle carte del rischio sismico e idrogeologico. “La quota più consistente di edifici esposti al rischio – spiega Bellicini - ha un uso prevalentemente residenziale, pari a 12,9 milioni di unità, mentre gli edifici per le attività produttive sono quasi 991mila, di cui 213mila in zona sismica 1 e 778mila in zona 2”. Ecco che secondo il Cresme, nei prossimi vent’anni il mercato della ristrutturazione sismica vale 300 miliardi di euro.
Il rischio potenziale per le strutture edilizie è elevato. “Oltre il 56% degli edifici residenziali esistenti nelle zone sismiche 1 e 2 è stato realizzato prima del 1970: si tratta dunque di un patrimonio che non prevede l’utilizzo di tecniche costruttive antisismiche. Soltanto il 5% degli edifici in zona a rischio elevato – spiega il Cresme - è stato realizzato negli anni 2000, quando le norme tecniche hanno imposto criteri molto più restrittivi che in passato”. Si consideri anche che oltre il 55% degli edifici esistenti nelle aree ad elevato rischio sono realizzati con muratura portante e soltanto il 33% con strutture il calcestruzzo armato.
Questo articolo è pubblicato anche su saie.it e su edilio.it
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