Si è conclusa venerdì 18 novembre la Cop22 di Marrakech. Adattamento, mitigazione dei fenomeni causati dal riscaldamento globale e finanza per il clima, sono stati i temi al centro delle due settimane di negoziazioni, discussi dai 111 paesi che hanno aderito all’accordo di Parigi. Gli stati che un anno fa hanno sottoscritto gli impegni, si sono posti come obiettivo quello di limitare l’innalzamento delle temperature entro i 2°C, riducendo drasticamente le emissioni di Co2 in atmosfera, dovute soprattutto a industrie con un modello produttivo ancora fortemente legato all’utilizzo di fonti fossili.
Anche il mondo delle costruzioni, che nel nostro Paese produce il 25% delle emissioni totali annue di Co2, gioca un ruolo decisivo. “L’edilizia è tra i settori produttivi soggetti agli obblighi nazionali di riduzione dei gas a effetto serra – spiega Natale Massimo Caminiti dell’unità tecnico-strategica del dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di Enea –. Particolare attenzione viene dedicata quindi al mondo del costruito, che rappresenta quasi il 30% dei consumi energetici nazionali”. Tra i circa 12 milioni di edifici residenziali del nostro Paese infatti, oltre il 60% ha più di 45 anni, ed è quindi precedente alla legge 376 del 1976 sul risparmio energetico.
Un ruolo, quello dell’edilizia, fondamentale soprattutto nella definizione dei contributi volontari nazionali di riduzione delle emissioni (INDCs) che definiscono le azioni che gli stati hanno deciso di intraprendere per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Ad oggi, secondo il documento “Sustainable urbanization in Paris Agreement” redatto da Un Habitat e Recnet e presentato in anteprima nei giorni scorsi a Marrakech, sono 110 gli stati che hanno inserito nelle loro proposte di contributi anche i processi di rigenerazione e urbanizzazione sostenibile.
Secondo gli ultimi dati Enea, nel nostro Paese le emissioni provenienti dal settore residenziale possono essere drasticamente ridotte fino al 90% entro il 2050. In che modo? Grazie ad interventi di edilizia passiva per i nuovi edifici, di efficientamento energetico e di sostituzione dei combustibili fossili con energia elettrica da fonti rinnovabili per il riscaldamento, la refrigerazione e la cottura di cibi.
A livello europeo il quadro legislativo di riferimento attuale è la direttiva sull’efficienza energetica del 2012 (Energy Efficiency Directive) recepita in Italia con il Decreto Legislativo del 4 luglio 2014 che prevede tra gli obiettivi di riduzione, l’individuazione di 870 milioni di euro nel periodo 2014-2020 per interventi di retrofitting sugli edifici della pubblica amministrazione centrale e per la creazione di un fondo nazionale per la riqualificazione di strutture pubbliche e private. “Molti degli interventi già attuati riguardano principalmente la componentistica, quindi doppi vetri, caldaie e apparecchiature. La grande scommessa ora è riuscire a incidere sull’involucro, sull’intero condominio e sul quartiere – continua Caminiti – per realizzare questo obiettivo è auspicabile che si attuino degli interventi di deep renovation, ovvero di riqualificazione pesante degli edifici, che consentirebbe di arrivare ad una riduzione di oltre il 60-80% dei consumi energetici attuali”. Non è necessario quindi investire solo su nuove tecnologie a materiali a elevate prestazione, ma anche sull’offerta e sulla domanda di mercato, ovvero su imprese che siano in grado di fornire servizi all’altezza dei nuovi standard energetici e finanziamenti che riescano a sostenere i privati nell’investire in nuovi modelli costruttivi.
“La deep renovation (tema cardine anche di REbuild, ndr) – conclude Caminiti – è un’occasione anche per gli interventi antisismici, che potrebbero essere realizzati con l’eccedenza di un 20-30% sul costo totale di riqualificazione energetica, riducendo nettamente i costi rispetto all’attuazione di due interventi separati”.
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