Testo di Maurizio Carta, ordinario di urbanistica, presidente della Scuola Politecnica dell'Università di Palermo
Questo è un diario minimo per condividere le sensazioni e le opinioni di un urbanista italiano che ha avuto l'occasione di essere stato in Cina per una settimana, tra Hangzhou, Shanghai e Beijing, invitato dall'Unesco, e che vuole trasmettervi fatti e giudizi su quello che ha visto e darvi alcune indicazioni utili per un vostro viaggio breve ma intenso negli stessi luoghi.
Prima tappa è Hangzhou, una delle Creative Cities dell'Unesco per l'artigianato, molto accurato e di qualità e oggetto di numerose iniziative ed eventi, con il suo West Lake inserito nella World Heritage List. È insomma una città media per la taglia cinese (di più di 6 milioni di abitanti!) che merita un viaggio per chi è interessato alle relazioni tra architettura e al paesaggio. La visita del West Lake è imperdibile per capire cosa significhi il rapporto che i cinesi hanno con il paesaggio. Io l'ho visto in una notte nebbiosa in cui l'acqua rifletteva una pallida luna e le poche luci di qualche ristorante affacciato sul lago cercavano di contenderlo alle tenebre. Il West Lake di giorno, invece, cambia completamente. Si affolla di persone che passeggiano, di turisti che fotografano e di famiglie che ne godono paesaggio e servizi: si fanno gite in barca e vi si mangia, ci sono santuari e musei, un piccolo padiglione per la musica e la danza improvvisate. La città è anche attraversata da un tratto del China Grand Canal che arriva a Beijing, una straordinaria opera idraulica che si dirama in numerosi canali più piccoli che attraversano la città densa e attorno a cui si sta sviluppando la nuova Hangzhou, con i suoi centri commerciali, i suoi Financial Districts "manhattan-style" e la West Lake Cultural Plaza, non memorabile ma da visitare soprattutto per il raccordo paesaggistico con il canale. Molto interessante da visitare il nuovo campus universitario a sud-ovest della città, progettato da Wang Shu (Pritzker Prize 2012), che riprende, innovandoli, linguaggi, giaciture e rapporti paesaggistici della migliore tradizione insediativa cinese.
Da Hangzhou, se avete una mezza giornata di tempo tra una conferenza e l'altra potete fare un salto a Shanghai. Dalla Stazione centrale di Hangzhou prendete un treno veloce all'ora di pranzo (quelli contrassegnati con la G, gli altri sono lentissimi) e dopo un'ora e otto minuti siete alla stazione di Shanghai Hongqiao, da lì una metropolitana vi lascia a East Nanjing Road, dove rimanete affascinati dalle luci, dai colori, dagli odori di una delle strade più interessanti del mondo, prototipo di molte altre e archetipo della megalopoli asiatica sfavillante di luci. Al crepuscolo dirigetevi ad est lungo la strada fino ad arrivare al Bund. Ed è quando arriverete di fronte ad uno dei Financial District più famosi del mondo, quello con lo skyline più stupefacente, che vi ricorderete cos'è Shanghai. Quel panorama urbano di grattacieli multicolori, di torri, di luci e di scritte a led vi tocca mente, cuore e stomaco, non riuscite a staccargli gli occhi di dosso (anche se è solo una piccola porzione di una metropoli da più di 24 milioni di abitanti). Superata la sindrome dell'attrazione morbosa per quel panorama iper-urbano, dirigetevi verso nord lungo il fiume, ancora attraversato da battelli, fino ad arrivare al Park Hyatt Hotel sulla cui terrazza è il barVue che vi consentirà di ammirare da una straordinaria posizione e sorseggiando un ottimo Manhattan quel potente paesaggio urbano costruito come una sapiente ed efficace operazione di marketing.
Se da Hangzhou vi trasferite a Beijing (tre ore scarse di volo) e siete interessati all'architettura e all'urbanistica contemporanee e post-olimpiche, la prima tappa è... la Città Proibita! È di una modernità straordinaria, nel rigore delle sue geometrie, nella nettezza dell'impianto e nella sublime maestria della realizzazione dei padiglioni interni, potente nella numerologia che si fa forma e nel decoro che si fa linguaggio. Insomma non potete perdervela.
La città è cambiata in meglio dopo le Olimpiadi del 2008. Non c'è più quel fastidioso effetto di cantiere perenne con ansia da prestazione che ha caratterizzato la fase pre-olimpica, e la città è più ordinata e armonica (parliamo sempre comunque di una capitale mondiale da 21,5 milioni di abitanti). Ha smesso di radere a suolo i caratteristici Hutong, i quartieri tradizionali bassi, labirintici, un intrico di dentro e fuori, di privato e collettivo, di ordinato e confuso). Vi consiglio la visita di quelli ancora autentici (pochi) e ingombri di qualsiasi cosa, con un intrico di fili e panni da fare paura ad entrarvi. La maglia urbana degli Hutong è utile per capire l'urbanistica cinese (o pechinese, meglio): un centro quadrangolare attorno a cui vengono centrifugate diverse geometrie apparentemente caotiche ma che comunque seguono un principio di connessione e di reticolarizzazione a partire da quel fuoco. Anche la Beijing contemporanea si sta sviluppando così, con numerosi epicentri (i nuovi distretti finanziari, culturali, sportivi) che si diramano dal centro (la Città Proibita) con geometrie frattali che però sono regolarizzate dai cinque anelli di circonvallazione che racchiudono la città più densa e ne ordinano i tessuti.
La stretta selezione dei luoghi da visitare comprende il nuovo National Center for the Performing Arts di Paul Andreu (andateci la sera quando è illuminato come una cupola laica) e l'Olympic Stadium di Herzog & de Meuron (progettato su un disegno di Ai Weiwei): l'uovo e il nido, come li hanno ribattezzati. Opere magnifiche, anche per la cura dei dettagli costruttivi.
Gli studiosi di processi creativi di rigenerazione urbana di aree da riciclare non possono non visitare il 798 Art District a nord-est, un'enorme ex fabbrica di materiale bellico, prima occupata da artisti delle nuove avanguardie cinesi e militanti della richiesta di democratizzazione e apertura del paese, poi oggetto di un poderoso programma di rigenerazione che ne ha un po' gentrificato l'attuale aspetto, anche se nelle parti più nascoste resistono le milizie dell'arte libera e anarchica. Interessante il nuovo museo di arte contemporanea UCCA e relativo design store.
Se avete ancora una mezza giornata, tappa obbligata è il nuovo World Trade Center District, che come il nome promette è il nuovo centro finanziario di Beijing che ambisce ad essere la porta del commercio mondiale. Qui hanno sede le maggiori corporation internazionali, molte della quali cinesi, e si sta completando un programma costruttivo di decine di torri, alcune di buon progetto e realizzazione, tra cui quella che oggi è la più alta con i suoi 300 metri. La sensazione comunque è quella ancora di una selva artificiale di erezioni che vi indica che la "Viagra-Architecture" di questi anni ha ancora epigoni. Oltre la strada vi è il CCTV Headquarters, la nuova sede della televisione di stato cinese, progettata da Rem Kholaas come un nastro di Moebius che forma un enorme portale, rivisitando in maniera peculiare il concetto di grattacielo a torre fin qui sperimentato e proponendosi come una delle nuove icone della città. Continuate la visita dirigendovi verso Piazza Tiananmen e percorrerete qualche chilometro in cui tutto il campionario delle torri, degli edifici per uffici, degli shopping mall e dei business hotel si è dato appuntamento per sfilare sotto i vostri occhi e ammaliarvi. Salite al quarto piano della West LG Twin Towers per prendere un drink al LAN, il lounge bar, progettato da Philippe Starck, in cui tutto è bulimico, capovolto, scuro, morboso, segreto e nascosto, sexy e ventrale.
Tappa obbligata di un rapido viaggio a Beijing è Wangfujing Road, il primo distretto commerciale della città del XXI secolo: chilometri di centri commerciali che si allineano lungo la strada richiamando clienti. Grandi alberghi e uffici ne completano la dotazione di prammatica. Ma se arrivate verso il crepuscolo la vostra attenzione sarà attratta dal famoso mercato notturno di Donghuamen in cui potete mangiare di tutto e di più, i più apprezzati sono gli spiedini di scorpione, scarafaggi e larve fritti. Oppure, attraversate la strada e andate nell'immensa Oriental Plaza dove incombe l'edificio del Grand Hyatt Hotel. Entrate e dirigetevi al ristorante Made in China, uno dei templi della nuova gastronomia cinese, che deve la sua fama anche al fatto che le diverse cucine sono tutte a vista e si mangia praticamente circondati da chef che cucinano tutto ciò che cammina, striscia, vola o nuota.
Se vi resta ancora una serata vi consiglio di assaggiare la movida dei giovani pechinesi. Le mete classiche sono i locali di Sanlitun, discoteche e nightclub, locali di lapdance con grandi finestre sulla strada e i ristoranti e bar al piano terra del Workers' Stadium. Più recentemente nel quartiere si è spostato il mondo della moda e degli artisti, generando una sorta di Soho cinese che merita una rapida visita per capire come si stiano specializzando dal punto di vista urbanistico, anche dal punto di vista dell'immagine e del brand, i diversi centri di una Beijing che da monocentrica si sta facendo policentrica e reticolare.
Finisce qui questo diario minimo di un viaggio sociale che mi è piaciuto condividere con quanti come me hanno il piacere e l'opportunità di viaggiare molto per lavoro, di visitare rapidamente le città ma studiandole con occhio e sensi di architetto e urbanista, e con senso critico di docente e progettista.
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