Sono passati quasi 10 anni dalle 3.32 del 6 aprile 2009, momento in cui una scossa di terremoto di magnitudo 6.3 colpì l’Aquila, causando la morte di 309 persone, il ferimento di altre 1.600 e la distruzione di centinaia fra abitazioni, sedi istituzionali e gioielli del patrimonio culturale abruzzese. Tra le iniziative predisposte in tutta Italia per ricordare le vittime e fare il punto sul processo di ricostruzione, anche quella dell’Ordine degli Architetti di Roma.
La forza del terremoto e i primi interventi. «Quando arrivammo, la Basilica di Collemaggio, luogo simbolo dell’Aquila, si presentava come il resto del centro città – ha raccontato Maurizio Galletti, Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Abruzzo all’epoca del sisma –, ferita gravemente ma ancora viva. Il transetto era completamente crollato, mentre per la forza del terremoto le panche si erano allineate all’onda sismica. Una grande trave in cemento armato, inserita durante un’operazione di restauro negli anni ’60 in direzione dell’abside, l’aveva spinto verso l’esterno provocando il crollo parziale della copertura. Per evitare che il peso delle navate gravasse in maniera eccessiva sui pilastri vicini alla zona del crollo, la struttura fu tutta puntellata. In una situazione così grave per le persone e per il patrimonio culturale, le priorità di intervento vennero decise con autorità ecclesiastiche e civili. Sotto il profilo della messa in sicurezza, si scelse di dare la precedenza alle sedi demaniali e poi al patrimonio mobile che fu trasferito temporaneamente in un deposito a Celano».
La gestione post sisma. Una volta conclusa la fase emergenziale, con la creazione di tendopoli provvisorie pensate per ospitare gli oltre 80mila sfollati dell’Aquila e dintorni, una delle questioni più importanti da sciogliere fu quella relativa al futuro del capoluogo abruzzese. «Vista la tessitura così densa di edifici di interesse culturale del centro storico, si doveva scegliere se preservarli all’interno di uno spazio che sarebbe stato diverso – ha spiegato l’ex Vice Commissario alla ricostruzione Luciano Marchetti – o pensare alla conservazione dell’intero ambiente. Alla fine riuscì a passare la decisione che io appoggiavo, ovvero quella di puntellare tutto il centro storico. Fu una scelta di cui vado fiero perché se è vero che portò ad una spesa senza ritorno di circa 800mila euro, ci lasciò una città da ricostruire e non un mucchio di macerie da smaltire. Diversamente da quanto fatto dopo il devastante terremoto di Avezzano (1915), dove la città venne riedificata con un aspetto totalmente diverso, si scelse quindi di contenere le strutture che era possibile restaurare e partire dalla ricostruzione dei luoghi e dei simboli dell’aggregazione sociale come le chiese e le piazze più importanti. Personalmente non condivido quanto fatto ad Amatrice dopo il sisma del 2016, dove è stata rasa al suolo la quasi totalità del centro abitato. A mio modo di vedere, conservare significa anche rendersi la vita più facile dopo».
Le istituzioni locali e la ricostruzione. A pesare sul dibattito a proposito della riqualificazione post sisma è il forte contrasto fra la velocità della ricostruzione privata e di quella pubblica. Mentre la prima procede spedita, la seconda mostra grandi difficoltà a prendere slancio con 256 cantieri attivi (di cui 80 terminati), e altri in fase di progettazione con i tempi che continuano ad allungarsi. «Chi dichiarava che sarebbero bastati cinque anni a rimettere in piedi la città diceva delle sciocchezze – ha sottolineato il neo assessore alla ricostruzione dell’Aquila, l’ingegnere Vittorio Fabrizi – perché un’operazione del genere ha bisogno di un lasso di tempo che oscilla fra 10 e 20 anni. Ulteriore difficoltà è arrivata anche dalla distruzione di buona parte degli archivi comunali. Non bisogna poi dimenticare che oltre a rimettere in sesto il costruito, si deve riattivare il tessuto sociale cittadino. In generale la situazione va migliorando, ma restano tante criticità che rientrano in un processo complesso come quello della gestione del cantiere più grande del mondo. Se c’è una cosa che serve, in particolare per accelerare i lavori, è avere una legislazione quadro chiara a cui poter fare riferimento e che sia declinabile rispetto la specificità di ogni evento sismico».
Le istituzioni nazionali e la ricostruzione. Tanto delle criticità normative, evidenziate dall’esistenza di un impianto emergenziale e dall’assenza di direttive per la gestione post sisma, quanto di quelle relative alla carenza di personale, ha parlato anche Gianluca Vacca, Sottosegretario di Stato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali. «Dal punto di vista della ricostruzione del patrimonio pubblico siamo in ritardo con parte degli interventi ancora da avviare. E non si tratta di un problema di risorse, che ci sono, ma di tipo organizzativo e burocratico. Noi da un lato stiamo preparando un decreto ad hoc per cercare di rendere l’iter normativo più snello. Dall’altro, come MiBAC avvieremo un concorso per 3/4mila unità da inquadrare nei prossimi 2 anni nelle aree terremotate. Per il 2019 – ha dichiarato Vacca – abbiamo stanziato un milione di euro per iniziative culturali nel decennale del terremoto che andranno a valorizzare i siti recuperati in questi anni».
Il futuro della città. Come per tante crisi, che siano originate da un fenomeno naturale o dalla mano dell’uomo, la ricostruzione ha permesso di sperimentare procedure e metodi innovativi. E non solo da un punto di vista squisitamente tecnico, come le nuove tipologie di impalcature che sono state studiate ad hoc per far fronte alle condizioni peculiari del centro storico. «È in situazioni di estrema difficoltà come questa – ha evidenziato Stefano Cianciotta, Presidente dell’Osservatorio sulle Infrastrutture di Confassociazioni – che non bisogna perdere di vista i punti di forza di un territorio. L’Aquila è stata infatti un momento in cui la sperimentazione è stata un elemento cardine. E ciò grazie anche alla presenza di un polo universitario importante e specializzato in particolare proprio sugli studi ingegneristici. Prima del terremoto, l’Università dell’Aquila aveva 27mila studenti iscritti che garantivano non solo la vita dell’economia cittadina, ma anche una continua produzione di talenti. Nonostante tutto, il numero degli iscritti è sceso di sole 5mila unità e continuano ad arrivare giovani da tutto il mondo. Importanti anche gli investimenti che sono stati attivati, con grandi multinazionali come i cinesi di ZTE, che nel capoluogo abruzzese stanno lavorando sul 5G, e la Google, che proprio nel capoluogo abruzzese ha un centro di sviluppo per le automobili senza pilota».
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