Dalle storie periferiche di innovazione sociale, alle mancate politiche del sistema-Paese; dalle lentezze delle imprese tradizionali, all’innovazione dell’industria che intercetta più facilmente la domanda del mercato; dalle scelte top down alla proattività delle comunità; dalle sperimentazioni di soluzioni inedite per il mercato del real estate al recupero del patrimonio esistente in chiave green. REbuild 2019 ha raccolto negli spazi di Fabbrica Orobia a Milano le riflessioni del mondo delle costruzioni nella sua complessità, auspicando un piano nazionale di edilizia industrializzata per rigenerare le periferie.
(Re)making cities, piattaforme innovative per le città, tema dell’edizione 2019 di REbuild, è stato un appuntamento inclusivo che ha messo al centro della riflessione la dicotomia tra la velocità dei cambiamenti e la lentezza del loro approdo nelle prassi del costruire, tra qualità e quantità degli interventi che non riescono ancora a trasformare le innovazioni in qualcosa di attrattivo per il mondo dell’industria. In parallelo, il bisogno espresso a più voce di collaborazione sia sui prodotti sia sulle azioni. «La dimensione laboratoriale che caratterizza spazi e agenda di REbuild, rende chiara l’idea di come sia necessario proporre contenuti originali e non solo ragionare su proposte altrui» ha affermato il presidente REbuild, Thomas Miorin. Si parte dalle ricerche (quella di Assolombarda dedicata da e quella promossa da REbuild con dati Cbre); si chiede una forte guida pubblica che tenga insieme incentivi e vincoli per un settore che, da solo attraverso il mercato, non trova la strada della sostenibilità; si propone di ragionare sui Moderni Metodi di Costruzione (MMC) da poco ufficializzati nel Regno Unito per incrementare la produttività attraverso l’industrializzazione edilizia.
«Serve una strategia che dall’esterno abbia caratteri riconoscibili e unitari per attivare l’interesse dalla domanda. L’eccezione è la filiera del fotovoltaico» ha commentato Ezio Micelli, presidente Advisory Board di REbuild: «La rigenerazione urbana è rallentata da un sistema frammentato non coerente con la scala dei grandi player internazionali e i processi di trasformazione produttiva, sia lato imprenditoria sia lato offerta».
Se non si vuole guardare all’estero, l’esempio a cui tendere ancora una volta è Milano. A raccontarne le prospettive è stato proprio Pierfrancesco Maran, trentanovenne assessore all’Urbanistica del Comune di Milano con deleghe all’urbanistica, al verde e all’agricoltura che ha portato a casa il piano ‘Scali Milano’, è al lavoro su Reinventing Cities, e in queste settimane ha portato a casa il via libera per la scommessa Olimpiadi 2026. «La nostra città sta vivendo un momento positivo, come testimoniato dalla recente vittoria della candidatura per le Olimpiadi invernali. Questo, però, non ci deve far cambiare rotta, anzi. Dobbiamo proseguire sulla via della valorizzazione dello spazio pubblico, ma non solo».
Al centro dell’azione, ha ricordato l’assessore, la crescente pressione abitativa cui l’amministrazione risponde puntando sull’edilizia convenzionata da concedere in affitto: «Un approccio innovativo che aiuta l’inclusione sociale – ha affermato – anche se non così intuitivo, in particolare per un mercato come quello immobiliare che è sempre stato abituato a finanziare iniziative dove il prodotto era venduto immediatamente». Altro focus è rendere Milano una città più green. «Nonostante il nostro 18% di territorio coperto dal verde, siamo in ritardo - ha sottolineato l’assessore -. Ecco che abbiamo redatto un piano che prevede 20 parchi in città, strettamente legati a piani urbanistici. Un esempio è Scalo Farini dove il masterplan ha indicato nel 60% la quota da destinare a parchi, giardini oppure orti urbani. Nostro obiettivo rimane quello di innovare, senza dimenticare l’inclusività e l’attenzione alle persone e alla qualità della vita».
Ance e Assoimmobiliare, presenti attraverso i presidenti Gabriele Buia e Silvia Rovere, concordano nell’idea di ripensare gli spazi urbani per intercettare le esigenze del nuovo vivere urbano, anche guardando agli esempi felici oltreconfine come quello di Edimburgo raccontato da Carlo Castelli, Head of Cities Solutions di Jacobs. Oltre alle piattaforme virtuali servono però quelle fisiche per riattivare le aree periferiche, ha ricordato Carlo De Vito, presidente di Fs Sistemi Urbani, anche tenendo conto delle dimensioni del patrimonio immobiliare italiano che non consentono di moltiplicare all’infinito i processi di rigenerazione urbana: «Se mancano le visioni è impossibile arrivare alle realizzazioni. Possiamo però puntare sulle connessioni, come dimostra da ultimo l’esperienza del The Student Hotel di Firenze».
Il “modello Milano” non va copiato ma applicato ai contesti. Una proposta arriva proprio a chiusura dell’edizione di REbuild 2019 da Sergio Urbani di Fondazione Cariplo che annuncia una piattaforma open source per avvicinare la filiera dell’industria e dell’edilizia e collaborare allo sviluppo di progetti pilota.
Da dove si parte? I tre principali ingredienti della via italiana sono indicati proprio nella ricerca di Assolombarda curata dallo IUAV attraverso il contributo di Ezio Micelli, coordinatore scientifico. Formazione multidisciplinare, interazione tra imprese, contributi di policy da parte della pubblica amministrazione che stimolino le imprese a diventare soggetti promotori di interventi diffusi di rigenerazione.
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