È in edicola la nuova Abitare. Un commento di Fuksas a caldo ancora non si può avere: “Sono tornato ieri sera da Mosca" ma sullo stato della comunicazione e della scrittura sull’architettura il suo pensiero è chiaro: le riviste di settore hanno perso di senso; sui quotidiani si parla troppo di architetti e poco di progetti e “anch’io ho collaborato a fare questo danno” dice Fuksas; chi scrive deve viaggiare; e ancora, bisogna anche scrivere quando i progetti sono brutti.
Fuksas è uno degli architetti italiani più presenti sulle pagine dei giornali di carta, come soggetto e come autore: appuntamento fisso da anni ogni venerdì con L’Espresso e più recentemente spazio il sabato su LaRepubblica.
Architetto, che ruolo hanno per lei le riviste di architettura?
Sempre minore: ce ne sono alcune buone in Korea, in Germania, c’è Architectural Record, The Architectural Review e le riviste italiane che ancora sopravvivono.
E l’architettura raccontata sui quotidiani?
Sicuramente se ne parla molto di più di una volta. Ma in Italia resta un grande problema: i proprietari dei giornali principali sono imprenditori, non esiste nei giornali l’editore vero e proprio. Si parla di architetti e non di architettura, questo è il vero danno. Anche la critica resta sempre una parte carente.
Nell’editoriale della nuova Abitare, il direttore Silvia Botti promette proprio di dare "più spazio ai progetti che ai professionisti", e di raccontare "belle storie e buone idee", di questo cosa ne pensa?
Concordo. Dire qualcosa di positivo non fa notizia, ecco perché in Italia troppo spesso si parla solo delle cose quando vanno male.
Fuksas-autore come trova le notizie, come le sceglie?
Per me l’informazione è strettamente legata al viaggio, c’è un rapporto diretto. Devo viaggiare e avendo informazioni posso scrivere e decidere quello che voglio. Dal viaggio reale al viaggio virtuale. Bisogna vedere per cercare di capire cosa sta succedendo.
In questi mesi quali sono i suoi viaggi più frequenti?
Ho tre grandi progetti a Pechino, Mosca e Los Angeles. Quando stai in queste città respiri le situazione di scontro tra grandi potenze.
Per scrivere belle storie quindi bisogna viaggiare?
Si vede chi scrive di New York stando ad Abbiategrasso (con tutto rispetto per Abbiategrasso). Troppo spesso la gente non va a vedere quello che succede, invece se ci stai fisicamente puoi farti un’idea più chiara sull’opera, sulla sua collocazione, sul senso. La scrittura ha un ruolo di permanenza di quello che si vede.
Ci ricorda qualche storia che recentemente ha scelto di raccontare?
Ho scritto che a Istanbul il Consiglio di Stato ha dato l’ok per la demolizione di torri che entravano in conflitto con lo skyline della città: è una notizia forte per me, ci vuole del coraggio.
Un’altra notizia l’ho ripresa dall’ex redattore del New York Times Joseph Giovannini che ha attaccato in modo serio l’ultimo edificio di Zumthor costruito a Los Angeles (“Zumthor’s design for LACMA is a disaster”, ndr). È una macchia nera, un progetto molto formalista, sì bisogna anche dire che ci sono progetti non belli.
Quindi anche lei scrive di cose che non funzionano ..
Si, e scriverò anche dell’aeroporto che Foster+Partners con l’architetto Fernando Romero, che tra l’altro ha sposato la figlia dell’uomo più ricco del mondo (al matrimonio Koolhaas era testimone, ndr), hanno vinto per Mexico City. È la ripetizione di qualcosa che già c’era ed è particolarmente brutto. Sono cose che dovrebbero essere dette.
Viaggiare, scrivere e progettare, tre fasi che si sovrappongono nelle giornate di Fuksas..
Stavo facendo un'intervista a Mosca, eravamo su una terrazza con una buona vista sulla città e mi hanno chiesto delle idee per Mosca che è una città di molti milioni di abitanti dove servono tre ore per andare dal centro all’aeroporto. Mosca è una città complessa. Mi chiedono "che cosa si potrebbe fare qui". Lavorare con l’agopuntura e aspettare che qualcosa si produca, avendo la modestia di sapere che la megalopoli è cosa diversa dalla città, e che vince contro tutti e tutto.
E per le città italiane, architetto, cosa si può fare?
La città è la città, l’architetto è ben poca cosa, anche l’urbanistica è poca cosa. In questo tempo si possono fare progetti puntuali e attenti, inutile immaginare grandi progetti per le periferie, non ci sono le risorse. I grandi interventi statali nel mondo sono impensabili anche in Cina. Le grandi operazioni di ristrutturazione sono impossibili. Forse a volte bisognerebbe radere al suolo e ricostruire, ma non è cosa per il mondo occidentale.
Abitare è tornato in edicola: qui i primi commenti
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