Le aziende green sono più competitive. A confermarlo è il nono Rapporto GreenItaly 2018 di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il Conai e Novamont e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Se puntare sulla green economy è stato un antidoto contro la crisi e un modo per sostenere la ripresa, per le aziende che negli ultimi cinque anni si sono mosse in questa direzione - 345mila, pari al 24,9% dell’intera imprenditoria extra-agricola – gli eco-investimenti dimostrano con i numeri le proprie ricadute dirette sulla competitività e sul dinamismo nei mercati esteri.
Il Rapporto, con specifico riferimento alle imprese manifatturiere (5-499 addetti), spiega il fattore “G” in termini di aumento dell’export nel 2017 e del grado di innovazione con un conseguente incremento del fatturato, registrato dal 32% delle aziende che investono green contro il 24% delle non investitrici.
La green economy conferma di possedere un «gradiente di qualità e di eccellenza superiore alla media», ha spiegato Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, durante la presentazione del Rapporto, evidenziando come le imprese che puntano su prodotti e tecnologie “sostenibili” sono più attente alla dimensione culturale e legate alla tradizione produttiva del territorio, di cui valorizzano le caratteristiche locali e nel quale reinvestono, risultando “coesive” e in relazione con il mondo della cultura.
Le differenze investono anche i dati sull’occupazione. Sono 2 milioni e 998mila i green jobs, in aumento secondo le stime Unioncamere di 474mila contratti attivati nel 2018 (il 10,4% del totale delle richieste per l’anno in corso). Ingegneri energetici, apicoltori biologici, esperti di acquisti verdi, tecnici meccatronici, installatori di impianti temici a basso impatto, risk manager ambientale ma anche esperti nella gestione dell’energia ed educatori ambientali per l’infanzia le professionalità ricercate, con l’area della progettazione e della ricerca e sviluppo trainante rispetto alle richieste di personale dipendente (il 63,5% dei nuovi contratti per il 2018 si prevede siano green). Lavori che nel 46,2% dei casi sono a tempo indeterminato per laureati (37,6%) ed esperti specificatamente nella professione (30,6%). Ne consegue una difficoltà di reperimento del personale che, nel 2018, è stata pari al 38,9% quando il dato per le figure professionali inserite in aziende “non green” si ferma al 22%.
«La buona performance dell'Italia nella green economy dimostra la forza delle imprese italiane, che sanno incrociare innovazione, qualità e bellezza – ha sottolineato Ermete Realacci, presidente di Symbola, Fondazione per le qualità italiane – e la capacità tutta italiana di cogliere i fattori competitivi e lì indirizzare i propri investimenti»
GreenItaly 2018 misura anche la leadership italiana in Europa rispetto alla quota di riciclo sul totale dei rifiuti e in materia di rinnovabili. Con 307 tonnellate di materia prima per ogni milione di euro prodotto dalle imprese, l’Italia è infatti molto più efficiente della media Ue (455 tonnellate) dietro soltanto a Regno Unito (236 t) e Lussemburgo (283 t) che però hanno un’economia più fortemente basata sulla finanza e il settore dei servizi.
In primo piano, l’efficienza nella riduzione dei rifiuti tra le cinque grandi economie europee, con 43,2 tonnellate per ogni milione di euro prodotto (1,7 t in meno rispetto al 2008). Ricicliamo il 79% della totalità dei rifiuti prodotti - urbani, industriali e perfino quelli minerari - ben oltre la Francia (55%) e il Regno Unito (49%).
In più, l’Italia ha compiuto un salto molto rapido rispetto alla quota percentuale di rinnovabili sul complessivo consumo interno lordo, passando dal 6,3% del 2004 al 17,4% del 2016. Un incremento che oltre a presentare il differenziale maggiore in termini assoluti rispetto agli altri Paesi Ue, pone l’Italia oltre la quota media del 17 per cento: un risultato possibile grazie anche alle iniziative che negli ultimi anni hanno cambiato il mix produttivo energetico del Belpaese.
La presentazione del Rapporto GreenItaly è stata l’occasione per una riflessione sulle norme che regolano il settore e sulle prospettive di ulteriore sviluppo. Benché, infatti, tutti gli obiettivi fissati dalle nuove direttive europee sui rifiuti urbani al 2025 siano stati raggiunti – con la sola eccezione della plastica per cui si è ancora indietro di circa 5 punti percentuali – quelli fissati per il 2030 impongono, come ricordato dal presidente Conai, Giorgio Quaglioli, un cambio di paradigma affinché la raccolta differenziata sia “di qualità”. Fondamentali le sinergie e la responsabilità estesa sull’intera filiera che comprendono, anche, la ricerca di un mercato su cui far confluire i materiali di risulta dal processo di riciclo.
In questa direzione si è mosso anche l’intervento di Salvatore Micillo, sottosegretario a Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, che ha fatto un esplicito riferimento al tema dell’ecodesign e alla volontà di inserire dei vincoli a tutela di di quelle aziende che vogliono fare dell'economia circolare il proprio credo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tag: energia; industria