“Non esistono più paesi ricchi che dettano il passo, e paesi poveri, in via di sviluppo, che inseguono. La globalizzazione impone alcune riflessioni sull’opportunità di applicare i metodi propri del “progetto” ad un settore molto più esteso (e più utile) rispetto alle logiche prettamente speculative che negli ultimi due decenni hanno celebrato la cultura dell’immagine in architettura, almeno in occidente. Progettare per le persone significa innanzitutto comprendere che il 90% della popolazione mondiale ha esigenze completamente diverse da quelle che il design si pone di risolvere nella cultura occidentale: per anni si è progettato per raffinare il lusso di un risicato 10% della popolazione, occupando chiassosamente i media con progetti da star e ‐ quel che è peggio‐ formando un’intera generazione a produrre lo stesso tipo di inutile ridondanza”.
Parte da questa considerazione il lavoro di Xcoop (Cristina Murphy e Andrea Bertassi) presentato a Utrecht lo scorso 8 novembre nell’ambito delle iniziative TED. In un mondo globalizzato, in cui differenze in tempi recenti macroscopiche si vanno velocemente assottigliando Xcoop propone di ripensare al ruolo del designer tramite alcune esperienze progettuali in Centro America e Caraibi, Port‐ au‐ Prince (Haiti), e in particolare a Soyapango (El Salvador) Volendo applicare i fondamenti della disciplina del design a contesti economicamente disagiati, ci si confronta innanzitutto “con una realtà libera dalle logiche del profitto, e più legata invece alla qualità intesa come complesso eterogeneo di condizioni che contribuiscono al benessere degli individui” spiega Cristina Murphy. In secondo luogo, è di fondamentale importanza coinvolgere tutte le parti potenzialmente interessate ad una trasformazione del territorio, “in quanto l’assenza di budget, insieme alle necessità di servizi primari, costituisce un ottimo volano per qualsiasi iniziativa”.
Un esempio. Sul sito di El Bosque era prevista la costruzione di 210 alloggi per accomodare altrettante famiglie attualmente sistemate fortunosamente in baraccopoli, in situazioni estremamente pericolose, minacciate da frane di fango, inondazioni e sismi. L’estrema limitatezza del budget aveva già vanificato due precedenti tentativi di realizzare il progetto. Xcoop ha sviluppato un metodo (Urban Toolbox) che supporta l’implementazione sistematica di trasformazioni urbane a prescindere dalla situazione economica. “Il processo partecipativo – raccontano gli architetti – prevede la catalogazione dettagliata delle risorse presenti sul territorio e la successiva organizzazione di procedure mirate ad istigare prassi virtuose di auto‐sostenibilità”. L’Urban Toolbox si compone di nove capitoli d’intervento: luogo, società, identità, economia, ambiente, tecnologia, partecipazione, design, continuità. Nel caso di El Bosque, per ciascuno dei capitoli sono state sviluppate delle strategie specifiche.
Luogo. Si prendono in considerazione gli aspetti fisici ed infrastrutturali del sito, nel tentativo di ottimizzare connessioni, accessibilità, allacciamenti a reti esistenti, ma anche il coinvolgimento di soggetti non legalmente riconosciuti che però hanno grande influenza sulle dinamiche urbane (per esempio bande giovanili e malavita organizzata).
Società. Dal punto di vista della comunità, si analizzano attentamente le necessità dei vari gruppi sociali, che vengono poi tradotte in una moltitudine di tipologie architettoniche diverse a seconda delle esigenze: giardini pensili, spazi ampi ed un contatto diretto con la natura anche ai livelli più elevati degli edifici mitigano lo shock culturale di adeguarsi a tipologie multipiano.
Identità. Il processo partecipativo tende ad aggregare i futuri occupanti del progetto, coinvolgendoli nella sua concezione e promuovendo una consapevolezza delle esigenze e inducendo una progressiva identificazione con il territorio e le sue trasformazioni. Le strategie di coesione sociale, solidarietà e senso d’appartenenza sono fondamentali per la riuscita del progetto, anche dal punto di vista meramente fisico.
Economia. Vengono promosse attività commerciali, processi di auto‐costruzione sostenuti e assistiti, che se inizialmente costituiscono un contributo importante alla realizzazione del progetto, in futuro potranno trasformarsi in una stabile fonte di reddito e di benessere per gli individui coinvolti. Vengono inoltre organizzati servizi di vario tipo, come la raccolta e la separazione dei rifiuti, all’interno della comunità, a formare nuove imprese locali. Vengono fortemente sostenute iniziative di coltivazione urbana ed allevamento. Dal punto di vista degli investimenti, il carattere virtuoso dei meccanismi proposti facilità l’ingresso di capitali da parte di strati sociali dinamici (starters e piccoli investitori) desiderosi di costruire il proprio futuro in una prospettiva di crescita.
Ambiente. Studi vengono effettuati per disporre le nuove volumetrie per ottimizzare l’esposizione ai raggi solari, ai venti principali ed alle piogge: mediante tecnologie a basso costo ed un attento studio delle tradizioni edilizie locali, è possibile produrre l’energia necessaria a soddisfare fabbisogno della comunità.
Tecnologia. Il principale obiettivo e di contenere il budget: la modularità, unita ad una ricerca delle tecnologie e delle risorse già presenti sul luogo, permette di contenere i costi, puntando sulla replicabilità ed eliminando costi di trasporto.
Partecipazione. I futuri abitanti giocano un ruolo fondamentale nella definizione del progetto, e vengono responsabilizzati in fase di sviluppo in modo da farsi carico della corretta costruzione e manutenzione del costruito. Inoltre, l’identificazione degli utenti con una coerente trasformazione del territorio assicura l’instaurazione di processi democratici e di coesione sociale a lungo termine. Al contrario, in occasione di interventi imposti dall’alto, si registrano a breve termine pericolosi fenomeni di degenerazione sociale.
Design. Il progetto vero e proprio riguarda più il processo che non gli spazi in senso stretto. I tecnici assistono la popolazione locale nella traduzione delle proprie esigenze in risposte urbane ed architettoniche, nella risoluzione delle questioni costruttive e di regolamento. Il progetto punta a realizzare un piccolo numero di unità abitative pilota, attraverso le quali vengono addestrate squadre (composte di persone del posto) per la costruzione ed il mantenimento, in seguito, di tutte le altre. Questo implica che nella maggior parte dei casi gli edifici assumano carattere misto di residenza e produttivo, contribuendo alla creazione di una comunità autosufficiente e con un alto grado di sicurezza, per effetto dell’attivazione dei piani terra.
Continuità. L’Urban Toolbox si basa sull’ottimizzazione di una sinergia di processi tipicamente top‐down con dinamiche bottom‐up, e necessita un continuo coinvolgimento di coordinatori sul territorio, al fine di fornire supporto ed indirizzo alla popolazione locale. L’Urban Toolbox è un metodo universale che può essere applicato in qualsiasi contesto, cresce grazie al contributo degli utenti e della rete. Al momento l’Urban Toolbox è implementato in Soyapango (El Salvador), in Port‐au‐Prince (Haiti).
Approfondimenti PPAN: Tre domande a XCoop su Comunicazione e Architettura
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