Le infrastrutture come veicolo di innovazione e crescita del territorio. Piattaforme attorno alle quali, con nuove tecnologie e un maggiore dinamismo normativo e imprenditoriale, si possono creare dei veri e propri “ecosistemi”. Da qui parte il rapporto sulla condizione attuale del settore, realizzato da Confassociazioni e Galgano Value Strategy, per fare il punto sulle condizioni attuali di un settore nevralgico per il rilancio dell’economia e, di conseguenza, del sistema Paese. Il documento è stato presentato durante il secondo appuntamento promosso dall’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni, dopo quello dello scorso 21 marzo sulle smart cities. Presenti numerosi soggetti istituzionali, rappresentanti di ordini professionali e di imprese virtuose.
La situazione attuale. In 10 anni, in Italia si è registrato un gap di spesa per manutenzione e realizzazione di nuovi manufatti, di 85 miliardi di euro. In termini percentuali, circa il 10% in meno ogni anno. Una diminuzione che si è fatta sentire a tutti i livelli amministrativi, dallo Stato centrale ai Comuni. Questi ultimi, infatti, anche a causa dell’aumento del 108% dell’imposizione fiscale, nel 2017 avevano ridotto la cifra destinata alle opere pubbliche di 800 milioni di euro rispetto ai livelli pre-crisi. «Per rendersi conto della situazione – afferma Stefano Cianciotta, Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture – basta un dato: nel 2009 gli investimenti pubblici per opere come strade, ponti, porti e aeroporti, ammontavano a 29 miliardi di euro, nel 2017 a 16 miliardi. Alla ripresa economica manca proprio il contributo di questo comparto, elemento sottolineato anche da Confindustria che vede nella programmazione di un grande piano infrastrutturale una delle quattro misure di policy necessarie per rilanciare la nostra economia».
Dal rapporto emerge come, negli ultimi 30 anni, la spesa in nuove opere di collegamento si sia concentrata prevalentemente sulle nuove arterie ferroviarie, in particolare nello sviluppo dell’Alta Velocità sull’asse Napoli – Roma – Bologna – Milano. «In quel caso c’è stata una visione dietro a questo grande sforzo, che ha portato – sottolinea Filippo Delle Piane, Vicepresidente dell’Ance – ad una vera e propria ridefinizione geografica dell’Italia. La realizzazione di nuove infrastrutture porta ad un processo win-win: da un lato sostiene la ripresa del comparto dell’edilizia, settore importante e il cui rilancio garantirebbe una crescita del PIL, dall’altro fornisce un supporto al sistema economico che ci chiede nuove opere di questi tipo. Oggi prevale un sentimento di ostilità verso le nuove infrastrutture. Fra i tanti i motivi – spiega Delle Piane – la visione distorta che queste portino solo ad uno spreco di soldi. Non aiuta certamente la presenza di una cultura legata a processi ormai superati da parte della categoria a cui appartengo. Trenta anni fa, infatti, quello del costruttore era un business che non aveva bisogno di customer care, in quanto il mercato assorbiva qualunque prodotto proposto. Questo ci ha fatto dimenticare la qualità e la volontà di capire le esigenze di coloro che avrebbero ricevuto il prodotto finale. Anche la comunicazione è fondamentale. Dobbiamo spiegare alle persone perché le nuove costruzioni servono. Il nostro mondo, ormai, non si esaurisce con la fine del cantiere. Nella misura in cui saremo capaci di gestire l’intero processo di vita degli edifici, faremo quel salto culturale di cui abbiamo bisogno per invertire la rotta».
Le difficoltà della Pubblica Amministrazione. Per quanto riguarda le attività di controllo, tema tornato al centro del dibattito dopo il collasso del ponte Morandi, il paper sottolinea come sui 7mila ispettori del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che dovrebbero essere operativi, solo 150 sono quelli effettivi. «Il monitoraggio sta diventando molto complicato – evidenzia Armando Zambrano, Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri – soprattutto visti i numeri dei manufatti da controllare e quello dei tecnici preposti a farlo. È necessario non solo rendere i dati verificabili e consultabili, ma anche omogenei in modo da rendere più semplice tutto il processo. Noi, come organizzazione professionale, ci siamo resi disponibili ad aiutare per sopperire all’assenza di esperti. Ma si tratta di una misura “emergenziale”, la PA deve avere le strutture per controllare e gestire il patrimonio infrastrutturale».
Esempi virtuosi. Il documento dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture, oltre alle criticità, indica anche delle realtà virtuose all’interno del settore pubblico. Casi come quello di Rete Ferroviaria Italiana (Spa di proprietà di FS), e dell’Anas, mostrano come il processo di innovazione sia possibile e favorisca una migliore produttività, ottimizzando il rapporto costi benefici. Un esempio? Entrambe le società prevedono bandi con premialità per chi progetta utilizzando il Building Information Modelling, strumento che diventerà progressivamente obbligatorio da qui al 2025. «La situazione italiana – sostiene Maurizio Savoncelli, Presidente del Consiglio Nazionale Geometri – oggi vede un profondo disallineamento fra ricerca e innovazione, che procedono spedite, e i processi decisionali, troppo lenti per stare al passo con la velocità del cambiamento. Altro elemento che ha indebolite la PA è l’esternalizzazione di controllo e manutenzione, che ha causato la perdita del know how da parte degli uffici pubblici. Ad oggi un intervento infrastrutturale sull’esistente si potrebbe fare con una spesa affrontabile, resta il fatto che se sottovalutato questo tema può fare danni incalcolabili al sistema Paese».
La comunicazione. Leggendo il paper redatto da Confassociazioni e Galgano Value Strategy, emerge un altro fattore importante: l’assenza di gran parte delle aziende dalle piattaforme comunicative digitali. «Oggi, ogni iniziativa industriale è mortificata da un atteggiamento anti industrialista che usa molto bene le leve della comunicazione. Non è un caso – precisa Alessandro Beulcke, Presidente del Nimby Forum – che dal 2008, anno dell’arrivo di Facebook in Italia, abbiamo assistito ad una impennata di fenomeni di protesta di questo tipo. Ormai dovrebbe essere chiaro come il consenso si ottiene soprattutto tramite una comunicazione diretta e non mediata, tipica dei social network. Le imprese, invece, sono colpevolmente assenti dall’ambito digitale. Oggi il low profile non è più possibile».
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