Decine di lettere viaggiano in queste ora dai Consigli Nazionali di Architetti e Ingegneri al Governo, dalla Rete delle Professioni tecniche con il Cup al premier Giuseppe Conte, ma anche dagli Ordini al Cnappc nel caso specifico degli architetti. Fiumi di parole e di richieste in giorni di emergenza che portano alla luce urgenze e situazioni contingenti, ma al contempo riaprono questioni mai risolte.
Insoddisfatti dalle misure del Governo e dalla presa d’atto del contributo di 100 milioni da parte Inarcassa (che per ora non si sa come saranno distribuiti), un gruppo di professionisti, molti under40, hanno sentito l’urgenza di scrivere direttamente alla propria Cassa con un appello chiaro: annullare i pagamenti per l’anno corrente, anziché prorogarne solo i termini. Richiesta chiara, anche in considerazione del fatto che chi non salda la quota Inarcassa, non può avere il certificato di regolarità contributiva e quindi non può accedere a lavori pubblici o semplicemente essere pagato dalla PA per quelli già fatti.
Decine di professionisti, con la voce di Matteo Romanelli, partner dello studio Duepunti architetti, aggiungono alla questione del Durc, anche il fatto che «gli studi di progettazione, trascorso questo tempo di difficoltà, non riusciranno sicuramente il prossimo dicembre ad assumersi l’onere di corrispondere i contributi di giugno e dicembre. Tanti di noi, in queste settimane – ha commentato – hanno ricevuto lettere di sospensione dei lavori, “a tempo indeterminato”. È vero che il mondo della progettazione può lavorare in smart working, ma senza interfaccia non si riesce a proseguire con le attività».
Una lettera che nasce dal basso. «Ho contattato tutti gli studi e gli architetti che conoscevo – racconta Romanelli – professionisti con cui avevamo avuto modo di confrontarci nei vari concorsi che in questi anni abbiamo fatto, dimostrazione questa che nel substrato della realtà italiana esistono dei legami tra i diversi gruppi che progettano, anche se oggi sono poco visibili. Decisa la strada della lettera, abbiamo convenuto che è il tempo di passare dall’io al noi e così – aggiunge - le parole che abbiamo scritto sono il risultato della collaborazione di tutti, un sentire comune, una proprietà diffusa».
Sono più di trenta i firmatari. Tra loro ci sono studi come AM3 Architetti Associati, Babau Bureau, deltastudio Ellevuelle Architetti, Fabbricanove, Laup, Ofl Architecture, Spaziozero, Tari Architects e Vosa Napolano Architetti.
Un collettivo per “ricostruire lentamente la coscienza comune, quella dell’architetto”, a partire da questo momento di difficoltà condivisa: “parlare solo dell’emergenza e delle misure da attuare ora ci va abbastanza stretto”. “Uno dei timori più grandi che abbiamo – racconta Romanelli - è quello del tempo, nel senso che vediamo passare i giorni, abbiamo i nostri studi chiusi, le pratiche e i cantieri fermi, non sappiamo cosa ci aspetta, non vediamo un termine per tornare a lavorare (nessuno di noi crede che il 3 aprile finirà l’emergenza e dal giorno dopo si riapriranno i cantieri), soprattutto non sentiamo la presenza di chi in questo momento dovrebbe garantirci delle sicurezze”.
Come sarà dopo questa crisi? Come cambierà la figura dell’architetto? Su quali aspetti si concentrerà? Le domande aperte sono molte. Per affrontare il futuro i professionisti devono pensare ora alla stabilità delle proprie strutture e si rivolgono ad Inarcassa chiedendo tre cose: annullare i pagamenti per l’anno corrente; poter contare su un’indennità giusta e proporzionata al fatturato, “non come misura di mero assistenzialismo, ma per continuare a mantenere fede agli impegni economici”; comunicare con tempestività, chiarezza e precisione.
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