Film da vedere e libri da leggere. Domenica 3 agosto sulle pagine del Corriere della Sera le città italiane e l'architettura (brutta e bella) sono protagoniste di due articoli dedicati rispettivamente al libro di Paolo Caredda “In un’altra parte della città. L’età d’oro delle cartoline” (ISBN Edizioni, 208 pagine, 22 euro) e al film “La Sapienza” di Eugène Green in concorso a Locarno e ispirato all’opera di Borromini. Cinema, illustrazioni, pagine scritte che raccontano il patrimonio italiano da punti di vista diversi.
Sul La Lettura, è il regista Davide Ferrario a dedicare una pagina alla recensione del libro di Caredda. “Raccolte in un libro le cartoline degli anni Sessanta e Settanta che celebravano caseggiati, nuovi quartieri e follie abitative. Niente auto, niente persone. E l’idea che quel cemento fosse ‘buono’”. Ferrario inizia il suo articolo anticipando che “al prossimo festival di Venezia presenterà un documentario sull’industrializzazione italiane nel Novecento” e cita un commento di Giorgio Bocca che a proposito del miracolo italiano dice “Tutte le cose che adesso ci appaiono orrende, allora ci sembravano bellissime”. La stessa riflessione Ferrario l’ha fatta sfogliando il libro che raccoglie cartoline “di quartiere, commissionate – scrive – da un sottobosco di tabaccherie rionali a fotografi locali con un target specifico: documentare la nuova edilizia popolare dell’Italia moderna, i quartieri gremiti di torri condominiali di cui il mittente poteva inviare l’immagine a parenti e amici annunciando orgoglioso ‘io abito qui’. Una galleria di prospettive che, viste oggi, oggi lasciano sgomenti: un museo della Grande Bruttezza”.
Ferrario parla di una “rovina paesaggistica che non ha uguali in Europa perché nessuno poteva vantare la nostra tradizione urbanistica e fa stridere maggiormente il nuovo con l’antico”. Gli esempi sono tanti: dal Biscione di Genova alle casette in Eternit, dai primi Autogrill a Torino Mirafiori, a sperduti come Ciriè o Ronco Scrivia. “Paolo Caredda – racconta Ferrario – accompagna le fotografie con brevi, caustiche riflessioni sulla genesi di queste cartoline, sul loro momento di gloria e sulla loro scomparsa, parallela alla crisi del miracolo e direi – aggiunge – alla nascita dell’Italia post-moderna (e post-pasoliniana)”.
“Il mio palazzo era una natura morta” è il titolo dell’articolo di Ferrario su La Lettura, “L’architetto che ritrovò se stesso grazie al Borromini” è invece l’articolo di Roberta Scorranese pubblicato lo stesso giorno sulle pagine degli Eventi del Corriere della Sera, dove l’eredità del passato italiano viene scoperta sotto un’altra luce.
Dalle bruttezze degli anni ’60-’70 alle meraviglie senza tempo della nostra storia. In questo caso è la chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, uno dei progetti più straordinari di Borromini edificata intorno al XVII secolo, e caratterizzata da una speciale armonia tra pieni e vuoti, ad essere scelta come tappa fondamentale di un “viaggio in Italia” da parte di un architetto parigino, Alexandre, che al culmine della sua proficua carriera decide di intraprendere questa esperienza. L’architettura protagonista in un film dedicato al tema delle “distanze” e della “conoscenza dell’altro attraverso la coscienza di sé - scrive Scorranese – che si dipana in una traiettoria tracciata dal grande architetto Francesco Borromini. La chiarezza – spiega la giornalista – insomma, è frutto di un percorso accidentale e spesso alimentato dalle distanze poste al momento giusto un po’ come le costolature della cupola di Sant’Ivo”.
Approfondimenti: "La voglia di cercare una bellezza" intervista a Fabrizio Rongione, architetto del film La Sapienza.
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