Alla scoperta dell'architettura giapponese, attraverso il disegno delle tipiche case unifamiliari. Con le fotografie di Yasuhiro Ishimoto della Villa Imperiale di Katsura, il video dell’artista Kogonada sulle opere del regista giapponse Yasujiro Ozu che esplicitano le differenze tra tradizione e contemporaneità, i testi del poeta medievale Kamo no Chomei e il dipinto seicentesco di Morikage Kusumi che evidenzia la ricerca di continuità tra lo spazio della casa e il paesaggio circostante, si apre la mostra “The Japanese House. Architettura e vita dal 1945 a oggi” visitabile al Museo Maxxi di Roma fino al 26 febbraio.
Un progetto di co-produzione internazionale. L’esposizione infatti è nata dalla collaborazione tra diverse istituzioni, tra cui anche la Japan Foundation, e si sposterà poi al Barbican di Londra e al Momat di Tokyo. Un’iniziativa culturale che aiuta a comprendere, attraverso 60 architetti e oltre 80 dei loro progetti, con disegni, modelli e fotografie, l’abilità dei professionisti nipponici nell’integrare il nuovo con l'esistente, il dialogo tra progettisti e committenti e il ruolo che il lavoro dell’architetto assume nella società e nelle città.
“Dopo la fine della seconda guerra mondiale - spiega Kengiro Hosaka del Museo Nazionale di Arte Moderna di Tokyo, uno dei curatori della mostra - di fronte ad una grave carenza di abitazioni, il governo giapponese decise di incoraggiare le persone a comprare un terreno e costruire la propria casa autonomamente. Un’occasione per riflettere sul concetto di casa e di famiglia”. A partire da quel momento storico si è sviluppato il movimento Metabolista, con urbanisti e architetti impegnati con nuovi metodi e stili di progettazione, in continuo dialogo con la trasformazione della città e fortemente distaccati dal passato recente. Ecco che tra gli anni '60 e '70 si è individuata una possibile soluzione all’insufficienza di alloggi nella progettazione standardizzata con elementi prefabbricati, dando vita a opere emblematiche come la Nakagin Capsule Tower Building di Tokyo, edificio ad uso misto, residenziale e commerciale, con due torri contenenti 140 unità abitative, le cosiddette capsule, di circa 9 metri quadri ciascuna.
“La storia dell’architettura moderna giapponese si è sviluppata secondo una traiettoria ben precisa - ha spiegato Hou Hanrou, direttore artistico del Maxxi - strettamente collegata con gli aspetti della vita quotidiana. Ecco che l’architettura residenziale e soprattutto le case unifamiliari si possono considerare gli elementi chiave della progettazione giapponese”.
Il Giappone ha cambiato passo e alle case tradizionali indipendenti e con giardino, in quegli anni ha sostituito edifici sempre più grandi con decine e centinaia di alloggi. Tra i casi presentati nella mostra, c’è anche la Moriyama House, che è stata ideata accostando diversi blocchi funzionali. “Così quando il signor Moriyama si vuole spostare dal bagno al soggiorno deve passare per il giardino - racconta Florence Ostende, curatrice della mostra da parte del Barbican Centre di Londra -. È un esempio perfetto di come le caratteristiche tradizionali dell’architettura giapponese, come l’assenza di confine tra gli spazi e la fluidità e la flessibilità degli ambienti, siano rielaborate dalle generazioni più giovani, attraverso una riprogrammazione radicale del concetto di struttura”.
Cemento, legno, acciaio e alluminio, anche i materiali sono protagonisti della mostra dedicata alle case giapponesi. Dagli edifici di Takamasa Yoshizaka realizzati in cemento grezzo ai progetti di Itsuko Hasegawa, costruiti con pannelli in alluminio perforati che danno maggior luminosità all’edificio. La ricerca di leggerezza, ma al contempo di sicurezza a causa del territorio ad alto rischio sismico, è l'elemento che consente oggi al Giappone di essere uno degli stati più all'avanguardia sulle tecnologie antisismiche per gli edifici.
Dopo le celebrazioni che si sono svolte in tutta Italia nel 2016 per i 150 anni delle relazioni tra Italia e Giappone, il paese del Sol Levante continua ad essere protagonista. Al Maxxi il 14 gennaio è in calendario un talk con il grande architetto giapponese Toyo Ito; il 20 gennaio e il 10 febbraio doppio appuntamento per un’iniziativa dedicata a La via dei fiori con due lezioni dimostrative di Ikebana Ohara; ancora, il 27 gennaio, altro appuntamento dedicato alla storia del giardino giapponese.
Non solo Maxxi. Non mancano altre iniziative dedicate al rapporto Italia-Giappone come la mostra Architettura Invisibile, organizzata dalla Fondazione Italia Giappone e promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, che verrà inaugurata 18 gennaio 2017 al museo Carlo Bilotti di Roma. Focus sulla relazione tra i movimenti architettonici giapponesi e italiani degli anni '60 e '70. L’esposizione si suddivide in due sezioni: la prima ripropone idee e progetti delle esperienze dei gruppi dei Radicali italiani e dei Metabolisti giapponesi, mostrandone gli obiettivi, le similitudini, le differenze di approccio, i risultati e l’eredità storica e filosofica; la seconda sezione invece metterà in evidenza con i lavori dei più giovani e significativi studi di architettura, come le nuove generazioni di professionisti italiani e giapponesi abbiano adattato la progettazione all’epoca digitale attuale e alle nuove richieste economiche ed ecologiche.
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