Innovazione, sostenibilità, contaminazione: potrebbero essere sintetizzati così i tre grandi temi emersi dal 6° design summit del gruppo Pambianco, che si è tenuto a Milano lo scorso 14 luglio. Durante l’evento, dal titolo L’industria del Design e la sfida della ripresa, organizzato in collaborazione con il magazine Interni, si sono alternate voci dal modo del design, dell’architettura, della finanza e dell’imprenditoria italiana del settore. Una vera «fotografia del settore», come l’ha definita David Pambianco, ceo dell’omonimo gruppo, che ha voluto, attraverso le parole degli stessi ospiti, accendere un faro sulla situazione del comparto nel post-pandemia. Significativo inoltre il fatto che un sumcmit di questo tipo, svoltosi nel rispetto di tutte le norme anti-contagio, sia stata la prima attività tenutasi nella sede della Borsa di Milano dopo la pandemia.
Fari accesi sull’ibridazione: in testa a tutte le riflessioni quella sulla contaminazione degli spazi ufficio-casa, che dovrà necessariamente portare ad una rivoluzione nel mondo del design d’interni attraverso «flessibilità e capacità di mutazione degli oggetti di design», come l’ha definita l’architetto Stefano Boeri. Una questione sulla quale aziende, come Molteni&C, Kartell, Calligaris, e altri architetti come Aldo Cibic e Giancarlo Floridi, fino al developer Covivio, si stanno interrogando, nel tentativo di offrire soluzioni innovative e integrative per dare risposte nuove ai propri clienti. Unanime il giudizio che in futuro si avrà necessità di spazi fluidi, dove una casa potrà essere allo stesso momento ufficio, magari cambiando layout nel corso della giornata grazie alla rinnovata fluidità e multi-funzione degli oggetti e degli arredi. Secondo Alexei Dal Pastro di Covivio, è il «wellbeing», il «benessere», ciò che sarà al centro: «la nostra sfida è fornire uffici in un ambiente con un adeguato livello di benessere. L’ufficio deve essere un ambiente che deve mettere le persone nelle condizioni di fare al meglio il loro lavoro». Più in generale, per Floridi di Onsitestudio, la chiave della sostenibilità dei progetti sta nella loro durevolezza. Per lo studio che firmato tra l’altro un hotel di fronte alla stazione centrale di Milano e sta portando in cantiere la scuola di Cascina Merlata «hanno resistito progetti con una storia di decisioni consapevoli e interessati alla durata. Si sono arenati quelli che avevano come unico elemento quello del rispondere alla novità e all’immediatezza del bisogno temporaneo».
Sul fronte del private equity e della finanza, grazie alla presenza di vari investitori che hanno sottolineato quanto il comparto del design in Italia ancora operi attraverso logiche geografiche molto specifiche, si converge sul fatto che necessariamente si dovrà orientarsi verso nuovi modelli industriali per sopravvivere. «Se guardiamo qualsiasi azienda in Italia oggi, ancora non ne esiste una completa – ha detto Andrea Bonomi, presidente dell'Industrial Advisory Board di Investindustrial, società di investimento che gestisce 11 miliardi di euro soprattutto di carattere industriale e che ha recentemente acquisito Jacuzzi e investito in Knoll, entrambe americane –. Il modello nel design non si è ancora formato». «L’Italia è però al centro per ragione storiche, per DNA – ha continuato – ma il mondo sta cambiando velocemente, e dobbiamo stare attenti. Il design va protetto fino alla fine» affinché non succeda come al salone nautico di Genova, oramai sorpassato dai concorrenti francesi, o alla settimana della moda milanese, non più passerella così ambita per i marchi del lusso. E seppur vero che il private equity ha salvato o fatto crescere molte aziende in crisi, per Bonomi «il mondo delle aziende private (“la borsa fuori dalla borsa pubblica”) dove puoi finanziarti giocherà un ruolo importante, soprattutto in questo momento di crisi».
Ancora, l’innovazione digitale al centro, un ambito per il quale la crisi sanitaria è stato un acceleratore di processi che erano già in atto da tempo, ma forse con alcuni ritardi rispetto ad altri settori. Nel design, questo si declina nell’apertura delle vendite in omnicanale, in un’integrazione tra online e offline, tra e-commerce, retail e e-retail. Che si tratti di un nuovo sito, o di nuove piattaforme di vendita (Molteni aprirà a breve l’e-commerce in USA, Calligaris il nuovo portale), le aziende italiane guardano soprattutto ai mercati internazionali per i loro nuovi progetti. Centrale anche il punto evidenziato da Giorgio Gobbi, managing director di IDB (Italian Design Brands), gruppo di private equity nato per promuovere un polo del design italiano che oggi conta sette aziende, secondo il quale questo settore, per la prima volta, «sta scoprendo qualcosa di sconosciuto: il consumatore». L’emergenza Covid ha infatti messo in contatto diretto consumatore e produttore senza intermediazione, anche qui puntando il faro sulle carenze e i punti di forza dell’avere un’efficace strategia di vendita integrata.
Ultimo, ma non meno importante, la sostenibilità, declinata sia nella ricerca dei materiali e nella manifattura del prodotto, sia in una sostenibilità sociale ed economica che sia parte integrante nello statuto delle aziende, le quali sempre più si stanno orientando verso un modello societario «Benefit». Ecco che Kartell, per esempio, nella produzione «ha puntato su sostenibilità, materiali riciclati, partendo anche dall’economia circolare e portandola fino ai prodotti in catalogo, con biomateriali e legno. Sugli imbottiti – ha dichiarato Lorenza Luti, marketing e retail director del gruppo – abbiamo tessuti e filati totalmente ecologici. Il processo parte comunque da una strategia aziendale di etica, per la quale seguiamo anche l’agenda ONU 2030».
I numeri: un settore che cresce a un ritmo del 3% annuo e che, tra il 2009 e il 2019, ha guadagnato il 40 per cento. I mercati principali per le aziende italiane sono sicuramente quello asiatico – solo la Cina ha visto una crescita esponenziale in 10 anni, facendo registrare un +83% –, seguito dall’Europa e dagli Stati Uniti, che da soli hanno visto un aumento del 50 per cento. Ma a sorpresa, è l’Europa a tenere nel post lockdown, soprattutto come quantitativo di ordini. Un dato che sta portando un «carico di ottimismo» tra gli addetti ai lavori, nonostante le previsioni per il fatturato 2020 si aggirino tra un -20 e un -30% di perdite. Parziali invece i dati sui fatturati 2019, problema dovuto ai ritardi nelle pubblicazioni a causa della crisi sanitaria, ma che ad ogni modo presentano un cauto +1,2% di crescita, per un totale di 9 miliardi di euro. Il trend più importante? Nessuna discesa di prezzi nelle valutazioni delle aziende.
In copertina: Borsa di Milano, Ingresso del Palazzo Mezzanotte, ©Paolobon140
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