Sessant’anni di attività professionale, più di 200 concorsi fatti. Tanti vinti e molte opere portate in cantiere. Massimo Pica Ciamarra, classe 1937, fa il punto in un’intervista a thebrief sul tema dei concorsi, sulle criticità del sistema italiano e sulla necessità di fare meglio. Sull’annosa questione della legge dell’architettura dice «bastano pochi principi e regole semplici. Un buon riferimento – dice - credo ancora sia il progetto di “Directive Européenne pour l’Architecture et le cadre de Vie” varato 20 anni fa a conclusione della serie di incontri internazionali “l’Architecte e le Pouvoir” promossi da “Le Carré Bleu”, poi dall’IN/Arch come “codice di autoregolamentazione delle amministrazioni pubbliche». Sui concorsi Pica Ciamarra invita ad un ripensamento complessivo sui premi, le giurie e sulla definizione delle proposte da parte della committenza. Ma prima di tutto, «in Italia è urgente una legge “contro il consumo di tempo”. In altre realtà dal bando di concorso alla realizzazione intercorrono tre, quattro anni. Chi giudica viene giudicato dalla comunità, quindi è molto attento nel valutare…».
Da quando ha iniziato la sua attività professionale?
Nel novembre del 1960, qualche settimana prima di laurearmi, per una strana fortuna coincidenza.
A quanti concorsi ha partecipato in questi anni?
Noi giovani di allora non avevamo altra via che partecipare a concorsi: ci siamo abituati al confronto e da qui una serie per me incalcolabile, in 60 anni ormai, certo ben oltre 200. Ma c’è una rilevante differenza fra quelli dei primi 30 anni e quelli dopo la folle legge che porta il nome del re delle cucine o degli elettrodomestici, quella del 1994-95. Prima di allora si perdeva o si vinceva, nelle giurie vi erano esperti mai inferiori ai concorrenti, ricordo al massimo un po’ di polemiche, mai un ricorso. Dopo la legge Merloni e i vari perversi Codici che si sono susseguiti, è tutto diverso: gli stessi enti banditori confondono gare e concorsi. Si sono diffusi “accesso agli atti” e prassi del ricorso.
Ci ricorda qualche concorso che ha vinto con il suo studio? Progetti che si sono concretizzati?
A Napoli la nuova Borsa Merci (1964-70), il Palazzo di Giustizia (1972-2000), l’Istituto Motori del CNR (1984-1990); il Parco dello Sport (2005, realizzazione interrotta poco prima dell’ultimazione); a Messina la sede delle facoltà di Scienze e di Farmacia (1968-77); a Salerno, come secondo premio del concorso 1975 per la nuova Università, realizzati biblioteca, rettorato e aula magna; a Caserta la facoltà di Medicina e Chirurgia (1996, ancora in costruzione e alterato); a Pistoia la biblioteca Sangiorgio (2000-07); poi Salerno Porta Ovest (2007, ancora in costruzione e profondamente alterato da “miglioramenti”. Nel 2000 abbiamo vinto una grande concorso a Bari, non realizzato. Qualche altro minore, ma l’esperienza più folle è quella del concorso per il centro sportivo di Sirmione (2011) del quale abbiamo appreso la vittoria dalla secca trasmissione di un verbale con invito a fatturare l’importo del premio: ben leggendo poi il bando, il Comune aveva anche la facoltà di proseguire con il suo ufficio tecnico.
Perché ancora oggi, comunque, lo studio guidato da Massimo Pica Ciamarra crede nello strumento del concorso e partecipa alle nuove competizioni?
Si affrontano temi ampi e con libertà. È un modo di fare ricerca. Non è raro che vi siano positive ricadute su progetti dei quali si ha incarico diretto.
Attività professionale, senza tralasciare l’impegno e una costante battaglia per la qualità del processo
Nel 2019, reagendo alla proposta della "Centrale della Progettazione" che sembrava stesse per avviarsi in Italia, abbiamo raccolto del materiale in un documento dal titolo "Verso il Codice della Progettazione".
In Italia si torna a parlare della legge dell’architettura, partendo da alcune linee guida dove è esplicitato il tema dei concorsi. Forte della sua esperienza, quali criticità segnala?
Partecipammo nel 2014 a un concorso ad Helsinki, senza indicazione di spesa, ma con richiesta ai concorrenti di non superare gli 8.000 euro/mq. Non dico di mettere a disposizione 1/3 di questa somma, ma almeno cifre ben valutate. Non di rado nei concorsi in Italia oggi le somme previste per realizzare l’opera sono modeste: se partecipi con professionalità, ti ci devi attenere. Spesso però noto giurie che prescindono da questa e da altre regole del bando. Non sempre le giurie sono composte da personalità che hanno vera esperienza di quanto sono chiamati a giudicare, o almeno hanno “requisiti” (un tempo non c’erano, sono stati un’introduzione becera e burocratica degli anni ’90) analoghi a quelli che si chiedono ai concorrenti.
Ancora, i concorsi in due gradi (come previsti dal modello Cnappc, ndr) dovrebbero prevedere - come in Francia - effettivi rimborsi spese per chi è ammesso alla seconda fase: oggi si vedono premi che forse non coprono nemmeno le spese di prima fase. Quindi partecipare ai concorsi è -se non vince - un onere per chi partecipa. I concorsi non hanno lo scopo di attribuire incarichi con equità; servono alla collettività per elevare la qualità degli interventi. Ma costano alla categoria dei progettisti, non alla collettività.
Infine - ma è la prima cosa - i bandi vanno ben scritti, devono essere sintetici ed agili. E la “domanda di progetto” deve essere ben formulata. In Francia c’è la figura del “programmatore”: ricordo sempre di aver partecipato simultaneamente a due concorsi: uno a inviti a Grenoble - eravamo in tre - domanda di progetto ben articolata in due ponderosi dossier, il tutto per un intervento che definirei modesto; l’altro per un delicato intervento in un luogo significativo di una città d’arte italiana: ma qui un libro sulla storia della città e mezza pagina con un banale elenco di funzioni.
Nei giorni scorsi sulla sua bacheca facebook ha lasciato un commento sul bando di concorso per la Biblioteca della Sapienza
Inaccettabile, ma almeno lo si sappia! Gennaio 2020: parte il concorso in unico grado per il progetto della grande Biblioteca Umanistica della Sapienza: alcune diecine di milioni di euro. Occorre predisporre 40 elaborati in 30 giorni: A0, e varie ponderose relazioni, computi... Chi si vuole confrontare deve disporre di un’ampia squadra capace di lavorare giorno e notte.
Due giorni prima della scadenza, rinvio di 30 giorni. Nessuna risposta però ai quesiti prevista dal bando. Peraltro, viene indicato un nuovo tecnico delegato a rispondere (ma a sua insaputa!). In assenza di indispensabili istruzioni, ovviamente nessuno consegna. Inutile chiedere chiarimenti. Tutto scompare nel nulla. Settembre 2020: nuovo bando, sostanzialmente lo stesso con astute modifiche da scoprire con attenta “caccia al tesoro”. Impongono precisazioni essenziali: nel bando però vari refusi tra cui un CIG inesistente da apporre sull’etichetta del pacco.
La procedura farraginosa prevede consegna cartacea con collazionamenti all’interno di scatole cinesi che tutto sembra garantire fuorché l’anonimato. Ulteriore quanto ingiustificata mole di lavoro, terza ristampa di oltre 40 elaborati.
Consegna in copia cartacea entro il 20 dicembre. Mentre chi non ha sede nel Lazio è in viaggio, il 16 dicembre si ha notizia di rinvio al 26 febbraio 2021. Ma si delinea un rinvio la sera del 25 febbraio.
Una corsa ad ostacoli... senza desistere.
Già. Se si aggiudica, mi auguro di vincerlo!
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tag: concorsi