«Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista». Con questa citazione di Kenneth Boulding, lui stesso economista ma anche poeta, si apre “Material Matters – L’importanza della materia” (Edizioni Ambiente), il libro con cui gli architetti Thomas Rau e Sabine Oberhuber propongono un modello alternativo a quella che definiscono «l’economia del sovrasfruttamento». Un volume caratterizzato da un approccio pragmatico e privo di preconcetti o ideologie, che parte da una considerazione: la Terra è un sistema chiuso sul quale la nostra presenza è temporanea, ma non lo sono gli effetti delle nostre azioni.
Rau, che ha presentato la sua pubblicazione in apertura di una conferenza sull’edilizia circolare tenutasi a Roma lo scorso 27 febbraio, ha più volte sottolineato che «la circolarità non significa sostenibilità 2.0. Si tratta di qualcosa di completamente diverso perché mentre quest’ultima cerca di ottimizzare il modello odierno, la prima dà vita ad un sistema nuovo. La stessa sharing economy non porta necessariamente ad una riduzione dei consumi. Un esempio viene da New York dove “grazie” ad Uber e altre applicazioni simili, il numero di veicoli è aumentato di 100mila unità».
Ma in che modo si può avviare la transizione verso l’economia circolare? La soluzione che i due progettisti hanno individuato passa attraverso due livelli: uno culturale e uno tangibile. Il primo consiste in una vera e propria rivoluzione nel modo stesso di concepire i materiali. «Se i prodotti vengono offerti solo come servizi – scrivono Rau e Oberhuber – i consumatori non sono più proprietari ma semplici acquirenti. Una volta scaduto il contratto, i materiali di cui è fatto un oggetto vengono restituiti ai produttori. Per le imprese ciò comporterebbe un’estensione di responsabilità che si dilaterebbe fino a riguardare tutto il ciclo vitale di un manufatto». In pratica, quello che i due autori propongono è un modello definito “Turntoo” nel quale il consumatore paga per la prestazione fornita dal prodotto che però, diversamente da quanto accade oggi, rimane di proprietà di chi lo ha realizzato. In questo modo, i produttori avrebbero tutto l’interesse a garantire la massima durata di un oggetto, al contrario di quanto accade oggi. Gli stessi autori di Material Matters sottolineano come questa cambio di approccio aiuterebbe a ridurre gli sprechi, ma non li eliminerebbe.
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, nel libro si propone la creazione di un vero e proprio “passaporto dei materiali” con funzioni simili ad una carta d’identità che ne indichi le caratteristiche e ne permetta il suo completo riutilizzo, evitando che diventi un rifiuto. «Applicando questo concetto all’edilizia si avrebbe la possibilità di inventariare i materiali in anticipo – ha evidenziato Rau – rendendo possibile a progettisti e costruttori di adattare le proprie tecniche in modo da rendere l’intero edificio “smontabile”. In questo modo si annullerebbero gli sprechi, con i manufatti che potrebbero essere recuperati e reinseriti in un nuovo processo produttivo senza perdere valore. L’ultimo tassello? Il Matasto ( dall’unione di “catasto” e “materiale”). Ovvero una grande banca dati virtuale, accessibile e centralizzata, dove tutti i soggetti pubblici e privati del settore, possono registrare l’identità e l’ubicazione temporanea dei materiali, ma non solo. Non si tratta di una idea bella ma irrealizzabile, perché questo grande archivio esiste già ed è in continua evoluzione. Funziona in maniera semplice: se ho un progetto definito e lo immetto nel database, il software lo codifica e restituisce l’inventario dei materiali necessari. È diffuso in 10 nazioni in tutto il mondo, e nei soli Paesi Bassi abbiamo due milioni di mq di spazi che sono già stati inseriti nel database. In Italia ne stiamo discutendo con la Klimahouse di Bolzano per avviare una collaborazione su tutto il territorio».
Ma come è nata questa idea? «Tutto è nato dall’intuizione che i materiali, come le persone, non hanno una identità – ha raccontato Rau – fino a quando non hanno un passaporto. Una volta indicati gli elementi in grado di definire le caratteristiche dei materiali, abbiamo capito che era necessario dar vita ad un contenitore. Una sorta di “biblioteca” composta da volumi da poter consultare o, all’occorrenza, prendere in affitto. Il primo progetto che abbiamo realizzato utilizzando la piattaforma del Madasto (in inglese Madaster) è stato, nel 2011, un piccolo municipio. E sapete qual è stata la prima azienda a visitare questo esempio concreto di circolarità in edilizia? La Google».
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