Il ruolo delle università per il terremoto del Centro Italia, soluzioni creative per linee guida e indirizzi di intervento

Maurizio Carta sul post sisma: "un new deal" per la qualità e la sicurezza del territorio

di Paola Pierotti | pubblicato: 06/09/2016
“Si parte da un Progetto Conoscenza, coinvolgendo enti locali, istituzioni e agenzie, università e centri di ricerca, associazioni, nel riallineamento e condivisione delle diverse basi informative in formati normalizzati, georiferiti e verificati attraverso metadati”
Maurizio Carta
Maurizio Carta sul post sisma:
“Si parte da un Progetto Conoscenza, coinvolgendo enti locali, istituzioni e agenzie, università e centri di ricerca, associazioni, nel riallineamento e condivisione delle diverse basi informative in formati normalizzati, georiferiti e verificati attraverso metadati”
Maurizio Carta

A pochi giorni dalla nomina da parte del Governo di Giovanni Azzone come manager di Casa Italia a palazzo Chigi iniziano in lavori per avviare la riforma che si occupi simultaneamente di prevenzione antisismica, dissesto e periferie. In questo contesto Maurizio Carta, presidente della scuola politecnica dell’Università degli Studi di Palermo, interviene su PPANthebrief per commentare come il progetto Casa Italia possa diventare “Un new deal per la qualità e la sicurezza del territorio italiano”.

Maurizio Carta, come si riesce a portare l’antisismica sotto i riflettori del nostro Paese?
In Italia il terremoto è una tragedia che non avviene solo durante la violenza del sisma che squassa la terra e smotta le comunità, ma inizia prima nell'assenza di prevenzione e controllo e spesso continua dopo durante la ricostruzione che aggiunge inefficienze al dramma.

L'Italia è un paese di città, alcune nuove ma fragili, molte antiche ma indebolite dall'incuria, abbiamo 14 città metropolitane che si sono espanse senza regole e migliaia di piccole comunità che si sono trasformate con troppe deroghe. Ed è in questo tessuto della nostra vita urbana che il terremoto comincia a manifestarsi, insinuandosi nella nostra vita quotidiana distratta. Si annida sotto le nostre case costruite senza regole antisismiche, e spesso ristrutturate eludendo le norme in tal senso. Il terremoto silente penetra nei tessuti urbani delle nostre città che non hanno piani di protezione civile o quando esistono sono solo dei fogli di carta redatti per adempimento e non per convinzione. Il pericolo del terremoto cresce nei comportamenti delle comunità che non conoscono le procedure di evacuazione sicura perché, soprattutto nelle aree a maggiore rischio sismico, le esercitazioni non sono una prassi consolidata e percepite come una componente della propria salvezza.

La battaglia va combattuta prima del terremoto. Ma come?
Il Presidente del Consiglio e il Governo hanno dichiarato con chiarezza e autorevolezza che questo terremoto dell'Italia Centrale non subirà gli oltraggi della ricostruzione di altre esperienze, l'Irpinia tra tutte, e servirà da stimolo per un piano "Casa Italia" che rimetta in sicurezza il territorio sia dal punto di vista edilizio, che urbanistico, che idrogeologico attraverso un piano nazionale di manutenzione, adeguamento strutturale e sicurezza.

Sarebbe un "New Deal della qualità e sicurezza del territorio", un necessario intervento di sistema che coinvolga i nostri migliori professionisti, soprattutto i giovani laureati nelle nostre Università, poiché sono loro le menti più predisposte alla nuova cultura della cura del territorio.

Qualche suggerimento concreto per il Dipartimento che si insedierà a Palazzo Chigi sotto la supervisione di Azzone?
Un piano di grande ambizione dovrà prima di tutto mettere in campo un grande Progetto Conoscenza del territorio italiano, coinvolgendo tutti i soggetti preposti che agiscono sul territorio: enti locali, istituzioni e agenzie, università e centri di ricerca, associazioni nel riallineamento e condivisione delle diverse basi informative (catasto terreni, catasto fabbricati, catasto elettrico, catasto energetico, dati anagrafici, dati IMU e TARSU, mappe della mobilità, smart data, etc.) in formati normalizzati, georiferiti e verificati attraverso metadati. Un grande database aperto costituito su open data, ricerche e rilevamenti (coinvolgendo ad esempio gli studenti universitari e i giovani ricercatori, ma anche i professionisti locali e i tanti cittadini attivi e digitalmente attrezzati) che consenta di avere una mappa accurata del grado di vulnerabilità e rischio del patrimonio edilizio e urbanistico italiano, indispensabile per programmare gli interventi e per definire tempi e priorità.

Che ruolo può avere il sistema universitario?
Sono convinto che questa prima fase possa vedere protagonista le Università attraverso la loro fitta rete di corsi di laurea tecnici distribuiti in tutto il territorio, importanti presidi di conoscenza e indagini. Tutti i corsi di studio pertinenti (architettura, pianificazione, ingegneria civile, ingegneria ambientale, geologia, etc.) potrebbero essere coinvolti su base territoriale per la schedatura e la costruzione del database comune sul rischio sismico, idrogeologico, e antropico, redigendo per ogni edificio, a iniziare da quelli pubblici e strategici, un "fascicolo del rischio" (come fatto con la Carta del Rischio del patrimonio culturale) identificativo delle sue condizioni di partenza e delle necessità di intervento rispetto a parametri di sicurezza ormai consolidati. Naturalmente i costi di tale operazione andrebbero suddivisi tra premialità alle istituzioni e i soggetti che prestano l'opera (università, ordini professionali, tecnici, etc.), finanziamenti e agevolazioni per le amministrazioni pubbliche, soprattutto in forma comprensoriale, che agiscono sul proprio patrimonio immobiliare e infrastrutturale (accesso differenziale a contributi, deroghe al patto di stabilità, etc.) e incentivazioni fiscali per i proprietari privati che aderiscono (prevedendo regimi agevolativi per gli immobili dotati del fascicolo del rischio, agevolando i regimi assicurativi, onerando maggiormente gli immobili privi della documentazione edilizia in regola, etc.).

Una volta terminata la parte conoscitiva, come si procede?
Sintetizzo considerando tre moduli di azione. Il primo è la diagnosi che permette di stabilire le condizioni di maggiore pericolosità e le priorità di intervento in modo da programmare costi e tempi degli interventi e intervenire in maniera mirata entro un orizzonte pluriennale. Il secondo è l'intervento che permette di definire le modalità di intervento e le tecniche sia per la sicurezza degli edifici che per la sicurezza dell'intera città attraverso efficaci piani di protezione civile e attraverso un ridisegno dei tessuti urbani e infrastrutturali sotto il segno della sicurezza; in questa fase andrà compresa la diffusione di una cultura del rischio che renda quotidiani i comportamenti di prevenzione. Il terzo è il monitoraggio che consente di controllare sia la qualità degli interventi che gli effetti reali delle diverse tecniche e procedure per tenerle sempre in grado di essere efficaci all'arrivo del sisma, accompagnate anche da procedure da adottare per evacuare in sicurezza.

Costruire dov’era e com’era. Cosa ne pensa?
Nel caso di eventuale ricostruzione, di singoli edifici o di estensioni urbane più grandi, il problema non dovrà essere una sterile dialettica tra la ricostruzione com'era e dov'era e un trasferimento dell'abitato poiché saranno state le fasi preventive di conoscenza, diagnosi e intervento che avranno già posto le basi per la scelta. Nel piano di messa in sicurezza e manutenzione delle città e dei territori dovranno essere contenute anche le indicazioni per le azioni più adeguate per ricostruire non solo le pietre – importanti è ovvio – ma le comunità. Per ricostruire soprattutto le identità dei luoghi distrutti, le relazioni affettive e funzionali tra le persone e le loro case, per risanare la relazione simbiotica tra gli organismi umani e urbani che sono le nostre città.

La fase preventiva consentirà di agire senza la pressione dell'emergenza per trovare le soluzioni per ricostruire i legami tra uomini e territorio, per ripristinare l’identità dei luoghi e per innovare i tessuti edilizi rendendoli più intelligenti e sostenibili. La fase apicale del Programma Casa Italia dovrà quindi riattivare la responsabilità sociale dell’urbanistica insita nella sua missione tecnica, includendo un processo di urbanistica collaborativa che non decida pregiudizialmente se il paese o il quartiere danneggiati vanno ricostruiti imitando l'antico o se debbano essere occasione per rendere le condizioni abitative più salubri e adeguate. 

Creatività e partecipazione potrebbero essere due ingredienti preziosi?
Agendo senza la pressione dell'emergenza si potranno predisporre soluzioni creative (linee guida e indirizzi di intervento) elaborate insieme agli abitanti, interpretando in che modo loro ritengano più adeguato ricostruire quel legami urbani che il terremoto potrebbe recidere, in che modo riconnettere i cicli di vita sperimentando soluzioni architettoniche, urbanistiche e tecnologiche che con capacità, sapienza e lungimiranza sappiano mettere insieme il patrimonio delle identità con la creatività dell’innovazione.

Anche in questa fase le Università potrebbero essere coinvolte?
Sicuramente, attraverso laboratori e workshop dedicati ai piani preventivi di ricostruzione che diventerebbero dei veri e propri living lab che non solo coinvolgano la popolazione, ma contribuiscano ad informarla ed educarla alla nuova cultura della sicurezza territoriale, della manutenzione programmata e della qualità urbana. Qualità e sicurezza del territorio devono tornare priorità dell’agenda politica del paese, ma soprattutto devono diventare priorità della nostra agenda personale e collettiva, stimolando una nuova e diffusa cultura del territorio e cura della casa comune, anche attraverso incentivi e premialità che coinvolgano l'intervento privato nella missione, la maggiore estensione del patrimonio edilizio del paese.

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Tag: città; energia; spazi pubblici
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