“Tasting the landscape” è il titolo della 53esima edizione del Congresso International Federation of Landscape Architects organizzata dall’Associazione Italiana degli Architetti a Torino. Più di mille specialisti, fra architetti, agronomi, sociologi, amministratori e filosofi, provenienti da oltre 60 paesi, per tre giorni si sono interrogati sulla dimensione sensibile dei luoghi, sugli aspetti emozionali e percettivi del paesaggio, sulla capacità di creare benessere, qualità e risorse.
“Il paesaggio è una religione - spiega su La Stampa del 21 aprile Jordi Bellmunt, direttore della Biennale del Paesaggio a Barcellona e professore alla Escuela de Arquitectura nel capoluogo catalano - e l’architetto paesaggista può fare del bene intervenendo sui luoghi. Una volta Michel Corajud mi disse ‘quando devi fare un lavoro vai nel luogo, l’idea ce l’hai dentro e stando nel luogo capirai se è una buona idea’. Ecco io ora faccio così e nei luoghi trovo le risposte”. Bellmunt, nella sua intervista con Antonella Mariotti, racconta la sua idea di paesaggio, legato non esclusivamente all’operato della natura. Del legame con il luogo parla anche l’architetto Yu Kongjian intervistato da Carlo Grande, conosciuto per alcuni interventi come il Rice Paddy Campus dove il progetto recupera il campo di riso sopravvissuto all’avvento del campus universitario di Shenyang e propone un paesaggio produttivo utile ad accrescere la consapevolezza verso l'agricoltura fra gli studenti universitari. L’architetto cinese, prendendo ad esempio l’azienda Turenscape, da lui fondata, sostiene la necessità di “ricreare l’armonia fra la terra e le persone. La applico ai miei progetti, ai materiali: spesso reperiti in loco come le impalcature di bambù, materiale economico, componibile, sostenibile. Bisogna comunque adattarsi ai luoghi, mai stravolgere la natura, dobbiamo lasciarla fare”. Kongjian nei suoi progetti cerca la giusta misura, quella dell’uomo, guardando agli studi della sociologa americana Jane Jacobs e alle città italiane medievali e rinascimentali, piuttosto che alle megalopoli occidentali contemporanee. Città mediterranee il cui paesaggio per Bellmunt è il prodotto delle esigenze dell’uomo.
L’architetto spagnolo è autore di interventi come il parco botanico di Saloum: un terreno triangolare di 2,5 ettari dove il progetto disegna, recuperando i vecchi tracciati delle partizioni agricole di origine romana, un sistema di terrazzamenti in muri di pietra che delimitano aree vegetali e percorsi di distribuzione. “Io amo moltissimo la Camargue - spiega Bellmunt - è stupenda. Uno se la guarda dall’alto dice ‘che splendida opera della natura’. E sbaglia. La Camargue è un’opera di alta ingegneria, sono tutti canali artificiali, tutto è stato modificato dall’uomo e dalla sua fame, dalle sue esigenze di sopravvivenza”. Sull’azione dell’agricoltore torna anche Kongjian che auspica il recupero delle tecniche agricole ormai dimenticate con la meccanizzazione. Problema sentito in occidente come in Cina, dove per anni si è imposto l’inurbamento a milioni di contadini: “La rilocalizzazione oggi è un po’ meno accentuata ma prosegue, anche se il governo comincia a capire che è problematico distruggere la memoria del passato. Oggi tutti vogliono andare in città, ma natura e paesaggio hanno giocato un ruolo fondamentale nella cultura cinese, vanno tutelate e rivalutate”.
Quale futuro per le città? Quale per il paesaggio e il suo progettista? Jordi Bellmunt dà appuntamento a Barcellona, dal 29 settembre al primo ottobre, dove la nona Biennale del Paesaggio, Tomorrow Landscape, potrà dare possibili risposte a questi e ad altri interrogativi.
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