LabF3, Studio Bressan e Studio Botter, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, bergmeisterwolf, C+S Architects, MoDusArchitects, Simone Subissati Architects, Vittorio Grassi Architetto & Partners, Atelier(s) Alfonso Femia, ElasticoFarm, BDR bureau, Edoardo Tresoldi, ifdesign, Lillo Giglia, Alvisi Kirimoto, Onsitestudio, Alvaro Siza con COR arquitectos, Studio Albori. Ecco la lista degli architetti nominati per altrettante opere costruite in Italia negli ultimi mesi, e in lizza per il Mies van der Rohe 2022.
Oltre a loro ci sono 3 studi italiani che hanno costruito all'estero: un'opera di Supervoid realizzata a Veszprém (HU), una dello Studio Apetit realizzata a Skopje (MK) e un'altra di Francesca Torzo realizzata nel Hasselt (BE).
Nei giorni scorsi le bacheche social di tanti studi internazionali hanno iniziato a popolarsi di loghi che richiamavano l’European Union Prize for Contemporary Architecture - Mies van der Rohe Award, ma la Commissione Europea e la Fundació Mies van der Rohe hanno svelato il 2 febbraio il primo elenco delle 449 opere (completate tra ottobre 2018 e ottobre 2020) in competizione per l’edizione 2022 del premio. Lavori che si uniranno, a settembre, con un nuovo gruppo di candidati terminati tra novembre 2020 e aprile 2021.
Come era andata nella precedente edizione?
Dei 449 progetti in gara, 31 (+3) arrivano dalla Spagna, 29 (+5) dalla Francia, 25 (+1) dalla Germania, 21 dal Belgio, 19 (+2) dal Portogallo e 18 (+3) dall’Italia e altrettanti dal Regno Unito. Il dato con il più corrisponde ai lavori firmati da studi locali e realizzati all’estero.
Facendo seguito alla preoccupazione internazionale per la diffusione del coronavirus, l’EU Mies Award ha adeguato il calendario di questa edizione per poter includere tutte le opere e garantire la sicurezza, il rigore e l’eccellenza della valutazione di tutti i progetti. Ecco che il nuovo ciclo del Premio non potrà non riflettere sulle attuali sfide che architetti, clienti, responsabili politici e altri professionisti devono affrontare. “Alcuni di questi lavori – si legge nella nota dei promotori – sono stati completati durante la pandemia Covid-19 e alcuni sono il risultato di commissioni dalla crisi finanziaria 2007-2012 o poco dopo. Cambiamenti climatici, inquinamento, digitalizzazione ed esplosione demografica sono anche, forse più che mai, una minaccia globale che mette in pericolo il pianeta, le sue limitate risorse naturali e di conseguenza il nostro benessere. Gli edifici e le infrastrutture – continua la nota – sono responsabili di almeno il 40% di tutte le emissioni di gas serra, quindi l’EU Mies Award (anche in linea con la nuova Bauhaus Europea) deve sostenere il ripensamento e la ripianificazione dell’Europa in modo tale da dare la priorità all’ambiente attraverso un progetto culturale in cui design e sostenibilità sono indissociabili”.
L’abitare batte la cultura. Per la prima volta dal 2003, le case singole (18,10%) rappresentano la quota più alta delle candidature, seguite da alloggi collettivi (14,87%) e strutture scolastiche (14,01%), superando gli edifici con programmi culturali specifici. Le strutture culturali come musei, teatri, gallerie e centri congressi rappresentano l’11,64% di tutte le opere. Risultato che risente probabilmente anche del fatto che il Mies nelle ultime edizioni ha privilegiato questo tema: tra i vincitori e finalisti si contano infatti alcuni progetti come Kleiburg ad Amsterdam, Bordeaux Grand Parc, Navez 5 a Bruxelles, Ely Court a Londra e Lobe Block a Berlino, che hanno sottolineato l’importanza delle buone condizioni di vita legate alla qualità del design.
Dalla mappatura del Mies si evidenzia anche che gli edifici di edilizia residenziale collettiva sono particolarmente eccezionali in città come Barcellona (6), Parigi (4) e Riga (3). “Per molto tempo – commentano dal Mies – gli esempi più importanti di qualità abitativa collettiva provenivano da costruzioni finanziate da fondi pubblici, quindi è significativo che in questa occasione, il 75% dei progetti di alloggi collettivi sia stato finanziato privatamente”.
Spazio alla rigenerazione urbana. Un quarto dei progetti candidati ha a che fare con la rigenerazione, intesa nel suo senso più ampio e comprendente trasformazioni, restauri, recuperi, estensioni e riutilizzo adattativo. “In Irlanda – dicono dal Mies – la percentuale sale al 62% e in Paesi come il Belgio la metà dei lavori affronta la trasformazione di ciò che già esiste, creando edifici per lo più culturali ed educativi, ma non mancano anche trasformazioni di edifici per uffici in abitazioni”. La stessa situazione si riscontra in Repubblica Ceca e Danimarca dove 5 delle 7 opere di Copenhagen sono il risultato di trasformazioni mentre a Bruxelles 3 delle 5 opere sono rigenerazioni.
Architetti in pole position. BIG Bjarke Ingels Group (Copenhagen) è lo studio con il maggior numero di opere nominate (4), di cui una a Copenhagen (DK) e altre tre a Bordeaux (FR), Jevnaker (NO) e Stoccolma (SW). È seguito da COBE (Copenhagen) che ha sedi a Copenhagen, Køge e Fredericia, tutte in Danimarca; DO Architects (Vilnius) ha opere a Vilnius e Klaipėda, tutte in Lituania; Grafton Architects (Dublino) ha costruito a Tolosa, Parigi e Londra. Ancora Helen & Hard (Oslo e Stavanger) è in lizza con due lavori a Stavanger e uno a Oslo, in Norvegia.
La novità dell’edizione 2022. Le 449 opere sono distribuite in 279 località con una popolazione totale che corrisponde al 30% della popolazione totale dei paesi partecipanti all’EU Mies Award 2022. Il 12% delle opere è stato realizzato in grandi aree metropolitane con più di 3 milioni di abitanti. Il 46% delle opere sono in città con una popolazione compresa tra 100mila e 3 milioni di abitanti e il 37% sono in città e paesi con una popolazione compresa tra 1.000 e 100mila abitanti. Il 4% delle opere è in villaggi con meno di 1.000 abitanti e l’1% delle opere è isolato.
La località più popolata è Londra (UK), dove sono presenti 3 opere. Il paese più piccolo è Hribljane (SI) che conta 8 abitanti.
Dai dati si riscontra un aumento delle opere transnazionali (10%), ovvero si evidenzia che architetti di un Paese hanno costruito in un altro o le opere sono state collaborazioni tra diversi studi di architettura, in collaborazione con partner locali. Si tratta di una percentuale simile a quella del 2017, percentuale che è stata piuttosto costante dal 2009, con 35-45 lavori transfrontalieri.
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