Come interagiscono cultura e sviluppo locale e come si può ottimizzare il rapporto per massimizzare i benefici? A questa domanda hanno cercato di rispondere ricercatori e professionisti nel report “Culture and Local Development. Maximising the impact”, un documento di 50 pagine pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Il testo precede una vera e propria guida per le pubbliche amministrazioni che l’organizzazione sta stilando in questi mesi e che uscirà entro la fine del 2018 con l’obiettivo di proporre politiche pubbliche ad hoc per gli enti locali e per i musei interessati a massimizzare l’impatto economico del proprio patrimonio culturale.
Il dibattito sulle potenzialità della cultura come fonte di crescita della comunità inizia intorno agli anni ’70, periodo in cui molti Paesi hanno iniziato a spostare attenzione e soprattutto investimenti dal settore manifatturiero a quello terziario. A quel punto il turismo è stato individuato come un campo dall’enorme potenziale e così è iniziata la crescita di tutte le attività ad esso legate.
Innovazione e sviluppo economico. Posti di lavoro e attrattività territoriale sono i primi elementi che vengono in mente quando si parla del ruolo economico dei musei. Secondo l’Ocse esistono però altri effetti di medio e lungo termine, come per esempio la diffusione di tecnologie o la creazione di nuovi prodotti. “Una delle funzioni iniziali dimenticate di molti musei – si legge nel report – è il supporto per gli imprenditori locali attraverso la conservazione di disegni e prototipi. Molti musei artigianali e industriali sono stati creati da imprese locali. Oggi, il problema è sapere se questi spazi sono solo custodi di una memoria industriale o se possono essere organizzati per supportare innovatori locali attraverso la condivisione delle collezioni”.
C’è poi il contributo dei musei sul fronte della rigenerazione urbana. Numerose strutture infatti nascono da interventi di recupero di spazi abbandonati, in disuso o in stato di degrado, dando così un impulso alla rinascita dell’area in cui si trovano. È il caso del nuovo polo culturale di Prato con il Museo del Tessuto, nato dalla riqualificazione di un’antica fabbrica di lavorazione del tessuto, del Museo M9 nel cuore di Mestre, o della Centrale Montemartini a Roma, la cui riqualificazione ha portato alla conservazione di un pezzo importante della storia industriale della capitale. Guardando all’estero invece ha fatto scuola il caso della Tate Modern a Londra, nata all’interno di un più ampio progetto di ridefinizione del quartiere a sud del Tamigi della capitale inglese.
Le indicazioni fornite nel documento poi, sottolineano una serie di elementi che hanno un peso decisivo sulla considerazione delle strutture a carattere culturale da parte della comunità locale e dei visitatori. Trasformare un edificio inutilizzato nel centro di un distretto creativo, o considerare l’ambiente urbano circostante come l’estensione di un museo, allo scopo di dare vita ad un laboratorio culturale diffuso, porta ad una maggiore attenzione da parte dei flussi turistici e ad un inserimento più efficace nella vita della comunità dove si va ad inserire.
Ma come si deve impostare la relazione fra le amministrazioni locali e i poli culturali? Questi ultimi hanno le potenzialità per favorire e guidare la crescita della comunità, organizzando eventi e promuovendo l’identità territoriale. Musei, gallerie ed esposizioni permanenti, secondo l'Ocse dovrebbero adattarsi ai tempi sfruttando nuove dinamiche e strumenti comunicativi, giocando così il ruolo per il quale sono stati creati, ovvero rappresentare un plus per la comunità nella quale si trovano. D’altro canto però, per dar vita ad una reale sinergia, la politica deve riconoscere a queste strutture l’importanza e i fondi necessari per creare hub culturali in grado di fungere da catalizzatori dello sviluppo locale.
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