Alla domanda su cosa sarà in futuro la politica, Italo Calvino rispose: «Amministrazione». Un’idea certamente poco rinascimentale, così poco olistica, ma molto funzionale alla gestione del bene pubblico. Quella pratica necessaria per spendere i fondi che, si spera, ci salveranno dagli strascichi pandemici. Le città e i loro sindaci devono essere pedine fondamentali per questo nuovo rinascimento, che riguarderà una nuova era urbana.
Recovery fund, politica e ambiente sono gli ingredienti che hanno movimentato un incontro che ha coinvolto i sindaci di Bologna, Firenze e Milano dedicato alle smart city. Dialogo aperto con i direttori de Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno, testate dedicate ai territori di riferimento, nell’ambito dell’iniziativa ‘Come saranno le città del futuro?’, il digital panel dei quotidiani del sistema QN.
Focus sulla tecnologia, che è più veloce della politica: non ha consenso da gestire, ma solo fatti da risolvere e sicuramente verrà in aiuto a un immobilismo politico che in questi giorni tiene banco. Ma come saranno le città del futuro? Dipende se la politica darà una mano e coinvolgerà come si deve gli enti locali. Ma soprattutto, precisa il sindaco di Bologna Virginio Merola, «dipenderà da come riusciremo ad uscire da questa crisi di governo e se riusciremo o no ad approfittare della più grande opportunità economica di sempre, anche più determinante del Piano Marshall».
La prima richiesta è, da parte di tutti, una cabina di regia permanete, non solo per capire quali progetti finanziare, ma come finanziarli, dicono gli amministratori. Anche perché se le città del domani dovranno essere digitali e tecnologicamente evolute bisogna capire realmente quali sono le necessità dei cittadini. E chi meglio dei sindaci può tradurre, in piani di intervento, i desiderata degli abitanti?
La discussione sulle smart city è quindi strettamente legata alla ripresa. Non c’è una visione di città moderna e tecnologica senza l’approvvigionamento di queste risorse, secondo i sindaci.
«Contro il traffico, gli assembramenti, la gestione dell’inquinamento e più in generale dei sistemi urbanistici noi ci affidiamo alle infrastrutture tecnologiche. Il nostro futuro è digitale, informato e connesso», spiega Alessandro Profumo, ad di Leonardo.
«Bisogna evitare di pensare che una città tecnologica sia solo una città connessa e digitale, ma conta come la città è stata pensata. E questo lo può fare la politica. La politica deve avere idee, come l’idea della città “in 15 minuti”, che è la nostra visione di centro urbano. Per noi è anche questa la smart city», spiga Giuseppe Sala, sindaco di Milano.
Sulla privacy e la tecnologia interviene anche Dario Nardella, sindaco di Firenze. «Troppe controversie, intorno a questo nodo della privacy. Senza sciogliere questa criticità non si può procedere spediti verso le smart city. Moltissimi progetti sulla sicurezza, sulla gestione del patrimonio culturale ed artistico del Comune sono stati bloccati. E io vedo un paradosso. Oggi i social grazie agli algoritmi hanno una capacità pazzesca di entrare nella sfera privata degli utenti. Inoltre, molto spesso queste regole di ingaggio non sono trasparenti per i fruitori, e allora penso a una disattenzione normativa. Nella vita delle città ci sono tantissime limitazioni a causa della privacy, ma le nostre vite sono “violate” ogni giorno a nostra insaputa».
Per Sala il problema è che i primi cittadini devono essere coinvolti di più se si vuole che il piano di ripresa funzioni. «L’Europa ci dice che devono essere investimenti con un ritorno, che devono essere progetti cantierabili velocemente, chi meglio dei sindaci sa queste cose? I territori sono il loro pane quotidiano», spiega.
È l’ultimo treno che ci rimane, la politica non lo dimentichi.
In copertina foto di Andrea Cherchi, dalla pagina Facebook /andreacherchimilano
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