L’emergenza Coronavirus, con la conseguente quarantena forzata, la chiusura delle attività commerciali e produttive e l’adozione delle misure di distanziamento sociale, hanno stimolato una profonda riflessione sulla questione se le nostre città siano state progettate su modelli del passato che non rispondono più alle esigenze del XXI secolo. E così, la quarta edizione del festival Utopian Hours 2020, la rassegna internazionale dedicata al city making che si terrà a Torino dal 23 al 25 ottobre prossimi, sarà dedicata proprio al tema della crisi di identità delle città.
In realtà, fanno sapere da Torino Stratosferica, l’associazione no profit fondata da Luca Ballarini e ideatrice della rassegna, il titolo ufficiale “The City at Stake” (La città a rischio) era già scelto già un mese fa dai curatori, ma è stato comunicato solo nei giorni scorsi per la situazione di emergenza nella quale si trova il nostro paese a causa della pandemia. Un titolo che risulta più che mai calzante dato il periodo di emergenza, e che ha l’obiettivo non solo di stimolare una riflessione, ma anche di «difendere la nostra capacità di immaginare, costruire, vivere e raccontare la città» come hanno sottolineato gli organizzatori.
Tre i punti chiave sui quali si articolerà la riflessione anche la crisi del modello contemporaneo di città e il suo ripensamento: il rischio fisico, del potere, e quello filosofico. Tra i temi strettamente collegati a questi tre cluster figurano il futuro dell’urbanistica, l’utilizzo del data urbanism, le smart cities e, teleologicamente parlando, il ruolo che le città dovranno assumere se non potranno più essere luoghi di evoluzione per gli esseri umani.
Ma tra le novità introdotte a Utopian Hours 2020, che come ogni anno avrà una formula aperta e un approccio multidisciplinare, ci sarà il coinvolgimento attivo del pubblico, il quale, attraverso nuovi format partecipativi, sarà chiamato ad intervenire sui diversi temi, inoltrando commenti, desideri e suggestioni che saranno condivisi con il team organizzatore. Una vera e propria “call to action” rivolta ai cittadini, per ripensare anche il ruolo non solo delle città, ma anche di chi le abita.
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